Stamani, visto che il sole inspiegabilmente si è fatto vedere piuttosto presto, abbiamo deciso di andare al parco de la reserva in Lima Centro per vedere los juego de agua; posto che avevamo già visitato con Maria e che ci era proprio piaciuto.
Ma dato che in questo viaggio non siamo fortunati con gli orari di apertura dei parchi… indovinate un po’… era chiuso!!! Apre solo di pomeriggio, da mercoledì a domenica (lo dico casomai qualcuno volesse farci una capatina), quindi siamo stati costretti a cambiare programmi.
Visto che eravamo in centro (si fa per dire) abbiamo preso un altro taxi e siamo andati in Pueblo Libre, la municipalità dove si trovava l’hogar di Maria e l’abbiamo portata a vedere la sua ex-casa, così abbiamo potuto parlare un po’ con lei di cosa sta succedendo adesso con Samuel e di cosa era successo con lei 5 anni fa. Ovviamente lei prima ha dato a vedere che neanche ci stava ascoltano e poi, dopo, a trabocchetto, ha fatto le sue domande per vedere se eravamo veramente preparati, tranquilli, credo che abbiamo passato l’esame.
Per concludere l’escursione degnamente siamo stati a pranzo nel ristorante dove andavamo nei giorni di visita a Maria, il Bolivarian, dove, chiedendo una porzione intera di chicharron de pollo (bocconcini di pollo ritto con patatine, yucca e salsa n.d.r.) con dos platos para compartir por los niños ti portano due porzioni intere al prezzo di una (chissà forse devo migliorare il mio spagnolo!).
Allora ho dovuto sfoderare la mia frase preferita in un ristorante peruviano: para llevar! Sì perché quello che non consumi te lo porti a casa, qualcuno lo ha cucinato, tu lo hai pagato, perché sprecarlo?! E’ una cosa che abbiamo già fatto altre volte e lo abbiamo visto fare in tutti i tipi di ristoranti, più e meno eleganti e da qualunque tipologia di avventore, è proprio cultura. Le porzioni ai ristoranti sono sempre abbondantissime, non esiste il concetto di antipasto o portata principale, tutto quello che ti portano strabocca dal piatto, quindi per quale motivo buttarlo?
Quindi domani avanzi di pollo fritto e pasta con i broccoli di stasera e una tonnellata di riso di ieri … se qualcuno vuole venire questo è il menù!
A noi possono sembrare buffi, talvolta dismorfici, ma sono l’anima di un paese che cresce e si sviluppa ad un ritmo cinque volte superiore al nostro. I peruviani sono un popolo che nasce multietnico, la sua storia non è costellata di guerre come quella europea (anche se a ben vedere con Cile ed Equador c’è sempre la scusa buona per guardarsi storto) e la sua capacità di sviluppo proviene da una autorità centrale che in spesso interviene e gestisce molti piccoli aspetti della vita quotidiana.
Ad esempio il numero di poliziotti sembra fuori misura, poi ci si rende conto che in realtà sembrano più custodi dei luoghi, che veri e propri “avvoltoi”, come a volte possono sembrare i nostri vigili urbani (ciao vigili 😉 ) .
Ogni categoria di lavoratore ci tiene ad avere un codice identificativo nell’abbigliamento e nel modo di svolgere il suo compito. Dai lustrascarpe (preziosissimi in luoghi polverosi come questo), agli addetti degli uffici pubblici, ai venditori di gelato tutti hanno una divisa. Impeccabile.
Nonostante, come ho detto, che sembri che ci sia un intervento pesante dello stato a qualunque livello di ogni attività, non mi è sembrato di individuare un assistenzialismo sfrenato e neppure mi è parso di vedere una ingerenza eccessiva.
Certo il Perù deve fare ancora molto, soprattutto a livello di welfare : la sanità pubblica lascia piuttosto a desiderare, la sicurezza sul lavoro è al livello dei nostri anni 60 e le infrastrutture per i trasporti … beh, menomale che c’è l’aereo.
Però sono cose sulle quali stanno lavorando, non dimentichiamoci che il Perù ha una supeficie che è 4 volte l’Italia e la metà della popolazione.
Inoltre tale popolazione è per metà nelle prime 5 città, il resto è sparso tra i deserti e la cordigliera delle Ande.
Con un sistema di collegamenti decisamente insufficiente, è ovvio che girandolo si incontrano tutte le realtà possibili.
Da quella dove ci ritroviamo a vivere, qui a Miraflores, nel centro ricco e moderno di Lima, fino alle situazione dei villaggi nella valle del Colca, esplorata solo nel secolo scorso, dove esistono tuttora sacche di analfabetismo.
Quello che promette bene è il fermento, è la libera iniziativa che viene premiata, qui si vedono cantieri ovunque, lavori in corso ad ogni angolo.
Da cinque anni fa a oggi ci sono zone del centro della città che non si riconoscono, grattacieli nati ovunque, centri commerciali, aree verdi, nuove strade e nuove ferrovie.
Mentre ad esempio il sistema dei trasporti pubblici è rimasto fermo al palo. Il caos del traffico è aumentato (anche grazie alla convinzione di ogni buon autista peruviano, secondo la quale, la precedenza ce l’ha LUI).
Non esiste , ancora, il concetto di trasporto metropolitano se non quello espresso dai piccoli padroncini che, in possesso di piccoli e grandi autobus, ogni giorno attraversano la città, fermandosi a richiesta (pochi millesimi di secondo) ovunque e gridando la loro destinazione da un finestrino.
Sono mezzi di trasporto dotati di “assistenza alla salita e alla discesa”, il che significa che, moneta alla mano, qualcuno ti tira dentro, se l’autista non ti schiaccia, e la stessa persona ti spinge fuori quando chiedi di scendere. Las combis … li chiamano.
La nostra referente qui in Perù ci ha dato il permesso di fare praticamente tutto, tranne cercare di prendere uno di quelli 😀
Il Perù ha mille volti, quelli dei deserti, quelli delle città, quelli dei giovani e quelli degli anziani, in ognuno però, e vi giuro che non li ho selezionati, ho potuto leggere tante cose, ma non sconforto o rassegnazione, piuttosto determinazione e fierezza.
Consapevoli del fatto che sarebbe stata una bella prova per tutti, compreso il nuovo membro della nostra famiglia, abbiamo comunque deciso di fare un po’ di turismo impegnativo : visitare la valle ed il canyon del Colca.
Questa meraviglia della natura si trova a circa 300 chilometri da Arequipa, una distanza tutto sommato abbordabile, se non fosse che in questa distanza, i dislivelli di altitudine sono notevoli : si parte dai 2.300 di Arequipa, per salire ai 4.910 del Patapampa, per poi tornare ai 3.600 di Chivay ed infine, stazionare più o meno intorno ai 4.000 durante la visita al canyon, cercando di avvistare i condor.
Il tour minimo accettabile con dei bambini è quello di due giorni e comunque, il secondo giorno, per vedere i condor che planano alla mattina, è necessario alzarsi alle 5.
Il viaggio è un’affascinante traversata di un deserto montano, con un panorama frastagliato dalla cordigliera delle Ande. La strada è una sola, un serpente che si snoda per le valli e i valichi. Ogni tanto ci sono dei punti di ristoro, tipo rifugio, nei quali è possibile comprare i soliti souvenir peruviani e bere infusi rigeneranti, come quello di foglie di coca.
E’ incredibile come la sensazione di bruciore del sole sulla pelle svanisca e venga sostituita dal freddo pungente, nel momento in cui ci poniamo all’ombra.
A Chivay abbiamo alloggiato in un hotel senza alcuna pretesa, la camera era minuscola e il bagno era un francobollo, ma per una notte (tra l’altro di poche ore di sonno) era più che sufficiente, inoltre la “pro loco” ci ha intrattenuto durante la cena con canti e balli tipici che sono stati particolarmente graditi anche da Samuèl.
Terme di Chivay
Terme di Chivay
Terme di Chivay
Terme di Chivay
Terme di Chivay
Camera dell'hotel
Cena con spettacolo
Cena con spettacolo
Cena con spettacolo
Cena con spettacolo
Cena con spettacolo
Cena con spettacolo
Il Colca è immenso, in una così stretta area si concretizzano numeri e dimensioni di difficile concezione per noi. Abituati al nostro Pratomagno, essere a 4.000, guardare in basso a 2.000 e vedere davanti una vetta di più di 6.000, con queste verticali scoscese … lascia senza parole.
Come il silenzio con cui il condor ti passa letteralmente accanto. Un soffio. Un leggero movimento della coda ed eccolo planare verso di te, per poi tornare a girare lungo la valle, in cerca di cibo. Non sbatte quasi mai le ali, conosce le correnti e le sfrutta.
La straordinaria varietà di piante che cresce a queste altitudini è pari solo alla straordinaria fauna che la popola, ci sono uccelli, insetti, lama, alpaca … dove da noi ci sarebbe solo neve e sasso, qui c’è la vita.
Il viaggio di ritorno è stato breve, ma tornare nel deserto, sentirne ancora il silenzio e vederne gli immensi spazi è stato ancora più emozionante perché stavolta non eravamo sconosciuti, stavolta non mi sono fatto prendere dallo spavento né sono rimasto sgomento della sua vastità. Stavolta ci ho parlato. E gli ho detto che ci sarei tornato.
P.S. Ai nostri carissimi amici che oggi si sposano, a Bea e Tono. Trovate il tempo per fare un bellissimo viaggio di nozze, trovate il tempo per venire in Perù. Intanto vi facciamo i nostri più calorosi auguri di una lunga vita insieme felice e serena. Vi vogliamo bene.
Evviva gli sposi!
Dopo la bella gita al canyon del Colca, che ci ha permesso di distrarci un po’ e vedere una parte affascinante del Perù abbiamo passato due giornate molto concitate.
Ieri eravamo ancora ad Arequipa, avevamo l’appuntamento all’ufficio di stato civile della municipalità di Alto Selva Alegre per fare il nuovo atto di nascita di Samuèl, ma per arrivare a mettere quella firma e relativa impronta digitale (tanto serve per riconoscere un figlio) la nostra referente ha dovuto fare diversi viaggi per la città e questo mi ha dato il tempo di sfruttare al massimo “lavadora” e “secadora” della nostra casa e stipare i bagagli per il viaggio.
Il momento del suo nuovo atto di nascita Samuèl se l’è dormito alla grande visto che era l’ora della siesta, così me lo sono cullato per tutto il tempo che siamo rimasti nell’ufficio, con gli occhi di tutte le impiegate puntati addosso, la psicologa visibilmente commossa, Maria sempre più appiccicosa nei miei confronti, Filippo con lo sguardo perso e Alejandra che gestiva tutte le scartoffie.
Questo momento di emozione è durato tutto sommato pochi istanti, perché poi di nuovo in taxi, un altro ufficio, altre firme, poi di corsa a casa, stipare le valigie ancora di più, partire per l’aeroporto (con due taxi!!!), e via… si torna a Lima…
Primo viaggio in aereo di Samuèl, ad un primo momento di grossa agitazione quano siamo saliti in aereo, è seguito la fase di sonno profondo. Ha dormito quasi tutto il tempo, bravo bambino, fai le prove per il transoceanico che è meglio!
Adesso siamo a Lima, siamo a metà del nostro viaggio? Lo spero proprio, anzi vorrei che fosse anche di più, intanto oggi non abbiamo potuto fare quello che pensavamo perché la persona che doveva firmare il nostro documento non era in ufficio, ci andremo lunedì.
Quindi per adesso cerchiamo di acclimatarci di nuovo all’umido di questa città, Arequipa già mi manca, stamani questo cielo grigio-biancastro, il sole che è arrivato solo a metà pomeriggio, il rumore assordante della strada che arriva fino al sesto piano del nostro appartamento, niente all’orizzonte … no, direi che niente mi aiuta ad avere voglia di restare qui … non ci resta che accelerare il più possibile le pratiche!!! (Forza Alejandra!!!)
P.S.: Siamo pure senza ADSL (l’unica cosa che riesce a raggiungerci anche in questo momento di “silenzio radio” sono i compiti di Maria Pilar, grrrr), dice che il tecnico sta arrivando, però ha l’orologio peruviano, quindi speriamo che arrivi prima di domani!
P.P.S.: In compenso, nell’appartamento dove siamo (immenso) abbiamo ritrovato un vecchio amico che ci è tanto, tanto mancato … curiosi di sapere chi è?
Arequipa, in lingua quechua ha più di un significato : mi fermo qui, al di là della vetta, città guerriera … ma oggi è meglio conosciuta come La Ciudad Blanca. Questo nome deriva dal tipo di materiale storicamente usato dai conquistadores per edificare tutte le strutture più importanti e di conseguenza, tutto l’attuale centro storico della città.
Ma aldilà di wikipedia, Arequipa, ci lascia come ricordo la sensazione di luce accompagnata dalla polvere che invade e pervade, come la luce, ogni cosa.
In questa stagione, antecedente di quasi un mese al trimestre piovoso, il cielo è raramente velato. Il più delle volte l’azzurro del cielo è così intenso da scambiarlo per un cielo nuvoloso. Non fosse per il sole tropicale che ti mette l’ombra della testa sotto i piedi.
La luce è intensissima e quando si rifrange nelle pietre bianche, pietre vulcaniche sottratte ad un sonnacchioso El Misti, diventa abbagliante.
Il vento teso, sempre, da qualunque direzione spiri, porta invece con se la polvere dei deserti che circondano la città. Che siano venti provenienti dall’oceano o da uno dei tre vulcani che la sovrastano, Arequipa si sveglia, lavora, mangia e dorme sotto una coltre di polvere.
La polvere entra ovunque, nelle cucine, nel naso, negli occhi, negli armadi. La polvere è una costante della notra vita, la tocchi, la respiri, la mastichi … questa luce polverosa, o polvere luminosa, ci è entrata dentro, nell’anima.
E’ incredibile come l’adottare un bambino di un posto lontano e così diverso dai nostri luoghi (intesi come modi di vivere), in qualche modo faccia sì che tu ti ritrovi adottato dai luoghi stessi.
Certo, dire che adesso siamo diventato arequpegni magari suona esagerato (non saremmo mai in grado di guidare come loro), eppure sentiamo che ci mancherà la polvere su ogni cosa come ci mancherà la luce insistente dalle finestre già alle cinque del mattino.
Sapere che domani potrebbe essere il nostro ultimo risveglio qui, ci ha messo un po’ di tristezza addosso. Avremmo avuto da fare altre decine di cose … ma per quante ne avessimo fatte sono sicuro che ce ne saremmo inventate altre.
Sentiamo che lasciamo in qualche modo una delle nostre case, una parte di noi si è integrata nello stesso modo in cui Samuèl è diventato parte di noi.
Comunque adesso inizia la fase di rientro del viaggio, partire è un po’ morire, ma è, soprattutto, ritornare.
Grazie alla nostra amica Annie Sparkes, una gentile signora di Bristol che fa la volontaria alla casa Luz de Alba; grazie a Betty la psicologa del ministero e grazie alla direzione della casa stessa, siamo riusciti a racimolare decine di foto e video di Samuèl, fatte dagli operatori che nel tempo hanno avuto a che fare con lui.
Erano tante e molto emozionanti da vedere, per questo ce le siamo coccolate un po’ noi, prima di rendervi partecipi. Il primo video mostra un baby Samuèl nel periodo tra uno e due anni.
Questo invece mostra un Samuèl già più grandicello, fino all’incontro con noi 🙂
La settimana scorsa, quando abbiamo fatto un giro turistico per la città, credevamo di essere stati nel museo archeologico che ospita Juanita, la mummia di una bambina sacrificata sul vulcano Ampato circa 550 anni fa e rimasta intatta grazie al ghiaccio.
In realtà ci siamo accorti di aver visitato il museo “tarocco”, che ospita altre mummie ed è, diciamo, a conduzione familiare! Suoni il campanello, il guardiano ti fa entrare, fai un giro, lasci l’offerta, esci, arrivederci e grazie!
Oggi, leggendo la guida per la gita al Colca Canyon che faremo domani e dopodomani, mi sono accorta del disguido e allora abbiamo preso un taxi e siamo tornati in centro a vedere il “vero” museo archeologico di Arequipa, il museo Santury.
Tutta la storia intorno a questi sacrifici umani è straordinaria, partivano da Cusco circa 2000 persone, camminando per quasi 600km (sulle Ande) fino alla vetta del vulcano Ampato (altitudine 6310m s.l.m.) e una volta sacrificavano bambini e bambine (anche 5 alla volta) per placare l’ira del vulcano Sabancaya che gli sta di fronte.
Pensare al viaggio mi ha fatto venire i brividi, la fatica di respirare, il freddo, la fame; Pensare che questi adolescienti, quasi adulti per la cultura inca, erano sempre consapevoli del loro destino è terribile. Quando poi abbiamo visto Juanita (conservata in un sepolcro a -20°C come si era conservata nel ghiacciaio fino all’eruzione del Sabancaya del 1995 che lo ha sciolto e ne ha permesso il ritrovamento assieme a quello di altri bambini) allora sì che mi si è gelato il sangue. I suoi tratti perfettamente riconoscibili e così somiglianti a Maria Pilar mi hanno veramente colpito.
La cosa più bella di tutta la visita però è quello che è scritto nel foglietto di spiegazione che viene consegnato all’ingresso, guardatevi il museo, i monili, i manufatti, ma quando state davanti a Juanita ricordatevi che è una persona, una bambina …
La nostra puzzolina MaPi sente la mancanza della sorellona Jo, dei nonni, degli zii e dei cuginetti, per questo ha scritto che la nostra famiglia fa festa ma la fa “DENTRO”. Abbiamo capito che il suo dentro significa distante, separatamente. ♥♥♥
E’ passata un’altra settimana; durante i giorni scorsi abbiamo tentato di fare una vita normale, alternandoci tra i compiti di Maria Pilar (che non sempre filano lisci), il mal di pancino di Samuèl (che non si sa perché arriva sempre nei momenti meno opportuni), la faccende di casa e le visite della psicologa. Stiamo aspettando che arrivi la sentenza di adozione così da poter fare il nuovo atto di nascita, ma la settimana di ambientazione finisce oggi, quindi ci vorranno ancora un po’ di giorni.
Abbiamo avuto tempo di fare qualche piccola escursione, anche se continuiamo a non capire gli orari di apertura dei parchi arequipeñi … sì perché domenica scorsa abbiamo trovato chiuso il parco di ponte Grau, ieri mattina siamo andati al parco di Selva Alegre (enorme e bellissimo, con tanta ombra e giochi per bambini), ma alle 11 era chiuso per manutenzione e i giardinieri ci hanno detto di tornare oggi … noi siamo rimasti un po’ perplessi ma non ci siamo persi d’animo, abbiamo cambiato destinazione: El molino de Sabandia.
Ingresso del mulino
Piante grasse
Maria Pilar a cavallo
Fuori dal mulino affittano cavalli per piccole o lunghe passegiate
Albero secolare
Albero all'interno del giardino del mulino
Samuèl e Maria Pilar
Giocano a fare gli equilibristi sul tronco torto
Samuèl
La potenza è nulla senza controllo!
Maria Pilar
Fa la fatina sull'albero incantato
I miei tesori
Foto ricordo alla cascata del mulino
Ingresso
Ingresso del mulino con la data di fondazione
Oggi pomeriggio invece, dopo un bel pisolino e relativa merendina, abbiamo preso un taxi (è un’esperienza che raccomando a tutti! una volta nella vita si devono provare questi brividi, per 5S/., circa 1,25€, vi fate scarrozzare da un quartiere all’altro della città, meglio che le giostre del perdono) e siamo tornati al parco di Selva Alegre.
Qui merita inserire un inciso circa la contrattazione con i tassisti; siccome è evidente che siamo stranieri loro tendono a sparare alto (la solita corsa con o senza psicologa peruviana che chiede il prezzo, l’abbiamo pagata il doppio); l’esempio più eclatante è stato proprio per andare al mulino ieri quando il primo tassista ci ha chiesto 45S/. e ci era sembrato caro, il secondo ce ne ha chiesti 25S/. ed abbiamo accettato (convinti di aver fatto un ottimo affare); mentre eravamo in macchina lui ha parlato con un collega che gli ha detto che ne doveva chiedere almeno 20S/. La cosa esilarante è stata il ritorno su un “tico” scarrettatissimo (vale davvero la pena vedere qui il tico tipico), incastrati come non mai, con Samuel e Maria Pilar che non ne volevano sapere di stare fermi… ma abbiamo speso solo 15S/. !!! La contrattazione è tutto!!!
Ci volevano proprio un paio d’ore rilassanti, per tutti, anche perché così Maria e Samuèl hanno potuto giocare insieme all’aperto, e anche i genitori hanno potuto spaparanzarsi su una panchina e godersi i pargoli mangiando un “buon” gelatino.
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Le virgolette all’aggettivo del gelato sono d’obbligo perché qui proprio non hanno idea di come si possa preparare una qualsiasi cosa dal gusto dolce … dai pasticcini, alle torte, al gelato … una cosa che non si può descrivere! Meno male che domani è domenica e andremo a Messa, e la cosa bella della nostra parrocchia arequipeña (S.Michele Arcangelo in Cayma) è che fuori della chiesa si assiepano tutta una serie di bancarelle che friggono l’impossibile: papas, camote, churros … e noi assaggiamo tutto!!! Domenica scorsa non avevamo la macchina fotografica, ma domani la porteremo e documenteremo la ricca colazione post-omelia ( … e ci vole attro che le patatine fritte per reggere quell’omelia infinita … in castigliano!!!)
Buona Domenica a tutti, buona festa di Cristo Re dell’Universo.
Parliamoci chiaro, non siamo nel paese di Bengodi. Il Perù, oltre a tutte le sue problematiche di arretratezza economica, ne ha molte altre a livello sociale. Se usciamo di pochi chilometri dai grandi centri urbani e dalle zone di massimo interesse turistico, troviamo condizioni altamente critiche che hanno bisogno di massicci interventi a livello governativo.
Stasera vorrei solo soffermarmi su un aspetto particolare, sul quale il governo peruviano è estremamente sensibile : la condizione della donna.
Nascere donna in Perù, in epoca Inca, significava godere di pari diritti e, in alcuni ambiti, godere di privilegi che agli uomini non erano riservati. La capacità femminile legata alla procreazione, faceva venerare la donna come veniva venerata la madre terra.
In tempi più recenti, ovviamente a causa dell’arrivo degli europei e con la conseguente distruzione della cultura indigena, la situazione è notevolmente mutata. Successivamente, il Perù, sembra sia rimasto un po’ più al palo rispetto al resto del mondo a cui era commercialmente legato (un po’ come tutto il Sudamerica, che è stato notevolmente sfruttato da Europa e Stati Uniti e pagato miseramente).
Una vignetta comune in questo paese, ritrae il popolo peruviano come uno straccione seduto su un trono regale e con ai piedi inimmaginabili ricchezze, delle quali ovviamente non dispone.
Il governo ha avuto così tanto a cuore la questione della donna che, fino a qualche anno fa aveva addirittura un Ministero dedicato allo sviluppo sociale di essa. Il Ministero de la mujer y desarrollo social (MIMDES) si occupava di promuovere campagne di sensibilizzazione alla dignità della donna ed al suo sostentamento nelle condizioni di estrema indigenza (che qui, quando ci sono, sono davvero, davvero, davvero estreme)
Oggi questo Ministero ha solo cambiato nome, si chiama più genericamente Ministero de la mujer y poblaciones vulnerables, ma si occupa sempre della protezione e dello sviluppo di quel 50% della popolazione peruviana composto da donne.
Infatti, tanto per dare due o tre numeri rigorosamente presi da internet, negli ultimi anni, fuori dai grandi centri, l’analfabetizzazione delle donne è stata rilevata come tripla rispetto a quella dell’uomo (18% a 6%); si sono verificate 8 violenze l’ora sulle donne e 2 di queste violenze erano di natura sessuale …
E’ evidente che stiamo parlando di una cultura machista che il popolo peruviano deve trovare il modo di stroncare.
Qui ad Arequipa, le amministrazioni locali, sembrano aver trovato un buon modo per risolvere il problema : vuoi rendere la dignità e mettere al sicuro dalle violenze una donna? Bene, dagli una pistola e mettila dirigere il traffico! Vedrai che el macho ci pensa due volte prima di mettersi contro una di queste affascinanti Chips
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Anche se il traffico in realtà … non è che ne abbia giovato molto … ma non si può avere tutto dalla vita no?!
Venerdì 21 a Montevarchi sarà presente Mario Adinolfi e nonostante la nostra felicità ed il nostro meraviglioso viaggio, io e Laura non neghiamo una punta di dispiacere dovuta al non poter partecipare.
Voglio la mamma e i libri di Costanza Miriano sono le nuove parabole evangeliche che i cattolici dovrebbero leggere e che i parroci dovrebbero diffondere sia dal pulpito che durante le catechesi degli adulti.
Sono testi che i catechisti (come la nostra Maria Elena Boschi) e chi porta La Pira alla tesi di laurea (come il nostro Matteo Renzi), dovrebbero conoscere a menadito, se davvero vogliono lasciare il mondo un po’ meglio di come lo hanno trovato, visto che loro hanno anche degli strumenti piuttosto potenti.
Perché ne parlo qui? Perché sono un polemico di natura, perché sono un cattolico e perché sono profondamente contro ad ogni teoria che possa approssimare la famiglia alle unioni omosessuali. Soprattutto quando si parla di bambini.
Non ho detto che sono contro tali unioni, dico e ribadisco che esse NON SONO luoghi naturali di crescita per i bambini e come tali possono godere di qualunque diritto legato alla relazione tra le due persone, ma non devono essere chiamati famiglia. Poco mi importa di essere antipatico o politicamente scorretto, se poi passasse il DDL scalfarotto questo testo sarebbe anche fuori legge, figuriamoci.
Ultimamente si parla di stepchild adoption, il primo passo “all’italiana” per arrivare al vero obiettivo delle forze LGBT : l’adozione di bambini come le coppie eterosessuali.
Dico “all’italiana” perché il buonismo che contraddistingue la massa italica tende a lasciar passare le peggio nefandezze purché leggermente imbellettate.
Il tipico pensiero di fronte alla coppia omossessuale che vorrebbe tanto, ma tanto, poter tenere con se il figlio naturale di uno dei due membri, nato da una precedente unione eterosessuale è questo : – “Uh poverini, ma se gli vogliono bene … povero bimbo, dove lo facciamo finire? In un orfanotrofio?”.
Sono un viscido e insensibile cattolico e quindi mi domando : – “Ma … o quanti omosessuali ci sono, che ora vivono con una persona del loro stesso sesso, che però hanno avuto figli in un rapporto eterosessuale?” – e ovviamente mi rispondono le statistiche : A partire dal jet set, quello delle star come Elton Jhon e Gianna Nannini, fino alle coppie con più modeste capacità economiche, la moda del momento è procreare tramite l’utero in affitto e la donazione di sperma.
Allora non stiamo parlando di sanare una situazione involontariamente venutasi a creare perché “Oddio! Non sapevo di essere gay!”, bensì di dare una scappatoia, di inserire un cuneo per poi avere un “tanto ormai lo fanno tutti” come scusa per legiferare in favore delle adozioni alle coppie omosessuali.
E qui l’italiano medio mi verrebbe incontro puntando il dito : – “tu vuoi lasciare i bambini abbandonati negli orfanotrofi!!!” – ed è qui che mi gioco tutto il mio sacrosanto diritto di dire la mia : Proprio perché NESSUNO mi può venire a dire che io lascio i bambini in orfanotrofio allora posso dire che le coppie gay e lesbiche NON SERVONO a togliere nessun bimbo da nessuna parte.
E’ tutta fuffa, polvere sollevata per confondere l’opinione pubblica e nascondere il vero motivo e cioè che loro voglionoavere figli.
Fidatevi di me, e se non vi fidate, andate a passare un po’ di tempo presso qualche tribunale dei minori o negli orfanotrofi, vedrete che il problema non sta nella mancanza di coppie che sono disposte a dare una famiglia ad bambino, ma nel sistema giudiziario italiano, che relega i nostri figli in difficoltà in un limbo che non è né una famiglia vera, né la possibilità di averne una.
La colpa è dei giudici che non hanno il coraggio di dare una speranza e un futuro a questi bambini dichiarando il loro stato di abbandono e li relegano in case famiglia in attesa che un genitore decida di volerli con se.
La colpa è di chi preferisce sovvenzionare il bambinificiomoderno, chiamato fecondazione eterologa (un sistema per generare orfani subito adottati) all’istituto dell’adozione, dove le coppie si accontentano di avere un figlio uno un po’ meno su misura.
Non capite perché la fecondazione eterologa è un bambinificio di orfani?
Perché il patrimonio genetico che gli appartiene proviene da almeno una persona che non conosceranno mai e che, pur sottoforma di gamete, li ha abbandonati (… ah no, poi da grandi avranno il diritto di sapere di chi sono naturalmente figli … e quindi giù ancora a cercare di rimediare, a colpi di leggi, a tutto quello che era fino a poco prima vietato).
Per questo mi rivolgo a te, Matteo, e a te, Maria Elena. Volete mettere le mani sulle leggi per le adozioni in Italia? Bene, fatelo, ma fatelo con attenzione, fatelo tenendo sempre davanti a voi il destinatario delle leggi che state maneggiando : il bambino.
Muovetevi come se per le mani aveste un bimbo. Con delicatezza e dolcezza, pensando al suo bene; e il suo bene non sono i vostri voti o il gradimento del PD o il pienone alla Leopolda. Il suo bene si dipana in un progetto strutturale che probabilmente è poco orecchiabile alle masse e che magari passa da qualche strigliata ai tribunali dei minori (come quello di Firenze, dove ancora si ha una gestione cartacea dei faldoni, zero informatizzazione e addette di segreteria che fanno il buono ed il cattivo tempo sulle coppie. Parlo per esperienza personale e dati alla mano).
Dovete dare vita a un progetto che passa per una definizione unica e inviolabile di famiglia che ristabilisca la naturalità delle cose. Tutti abbiamo un babbo e una mamma, tutti ne abbiamo diritto, tutti i bambini ne hanno diritto.
La modifica alle leggi sull’adozione deve mettere al centro i figli e non le madri e i padri. Deve tenere conto che nel dubbio, è meglio che un bimbo finisca in adozione, piuttosto che aspettare in casa famiglia per anni una madre e un padre (quando c’è) che non hanno la possibilità di approfittare del miracolo della Vita.
Deve dare coraggio ai giudici per fare il bene del bambino, non servire logiche assistenzialiste per il mantenimento delle case famiglia. Soprattutto non devono continuare a credere che una famiglia naturale sia sempre la migliore soluzione, mentre oggi sembra che manchi il coraggio (che vedo invece in altri paesi come il Perù) di prendere decisioni impopolari.
Infine, anche se meno importante perché, nonostante tutto, in Italia, si avvicinano all’adozione migliaia di coppie ogni anno, ci sarebbe quella piccola questione dell’adozione internazionale e dei suoi costi.
Abbiamo bisogno di aiuto, Matteo, Abbiamo, bisogno, di, aiuto.
Chi ha adottato all’estero dopo il 2011 non ha ricevuto più nessuna sovvenzione (oltre la deduzione delle spese sostenute) eppure i soldi per la fecondazione eterologa a Careggi li avete trovati.
Voglio che qualcuno mi spieghi perché io, per non lasciare abbandonato un bimbo già nato, che non ha i miei tratti genetici, devo spendere decine di migliaia di euro, mentre mi resta quasi gratis (a carico del contribuente) andare a generane uno di sana pianta.
Qualcuno mi spieghi questa differenza.
Forse siamo solo il prodotto di noi stessi, in questo caso, sono veramente contento che i miei figli non siano un nostro prodotto.
Bisogna avere la forza di credere che la Verità è Verità, anche se impopolare. Grazie Mario, grazie Costanza.
Oggi turistos fai da te … nonostante le due usciate prese sia al parco Grau che nella cattedrale (causa benedizione dei bomberos), abbiamo deciso di tornare a visitare le bellezze della città di Arequipa.
Dopo aver riempito lo zaino di effetti di prima, seconda e terza necessità (mangiare, bere, cambiarsi), tutto in duplice copia ovviamente, siamo partiti alla volta del centro storico della città.
Da Plaza des Armas, la piazza principale della città, ci siamo diretti verso la chiesa della Compagnia di Gesù, situata in un angolo della suggestiva piazza costruita con le pietre bianche del Sillar, cave alle pendici del vulcano El Misti.
Seconda destinazione, il monastero di Santa Catalina da Siena, in assoluto l’attrazione più imponente di Arequipa. Una città nella città. 20 mila metri quadri di viali, abitazioni, struttre, chiostri e chiese che hanno ospitato fino a 500 abitanti, fra laici e consacrate, negli ultimi 5 secoli.
Oggi il monastero ospita 30 monache ed è relegato ad una piccola sezione. Il resto del monastero è di proprietà dello stato ed è un museo a cielo aperto.
Per accontentare anche i ragazzi (almeno così si pensava) abbiamo anche visitato una fabbrica un po’ particolare : la Mundo Alpaca che presenta tutto il processo di lavorazione della lana di Alpaca e di Lama partendo dagli animali vivi … che non hanno ricevuto il gradimento di Samuél, troppo sospettoso per avvicinarsi a loro a meno di 3 metri.
Visto che la nostra permanenza qui si protrarrà fino a fine mese si prevedono altre puntate di Turismo ad Arequipa 😎
Dopo le forti emozioni delle visite e uscite dall’orfanotrofio, dopo la festa travolgente da più punti di vista, finalmente Samuel è arrivato a casa nostra.
I primi giorni di vita familiare sono stati assolutamente normali e assolutamente straordinari allo stesso tempo: piccole gelosie di Maria Pilar, smarrimenti di Samuel che un po’ sta faticando ad abituarsi ai nuovi ritmi di vita, i compiti di Maria che sono sempre un capitolo poco spassoso della giornata, noi genitori che cerchiamo di dividerci tra questi sermannoli (n.d.r. vandali) che gareggiano per attirare la nostra attenzione… ho detto qualcosa di inaspettato? Non credo proprio!
Quindi le nostre giornate fino ad ora sono state un tranquillo tran-tran durante le quali abbiamo cercato di inserire qualche uscita turistica, rimbalzando il più delle volte su cancelli chiusi! (chiuso il parco giochi, chiuso il museo archeologico)
Una sorpresa ci è stata fatta dai volontari dell’orfanotrofio che ci hanno regalato foto di Samuel quando era più piccolo, adesso finalmente possiamo condividere con tutti voi un po’ di queste immagini:
Domani e dopodomani ci aspettano le visite della psicologa, i lavori, per adesso, procedono secondo il calendario che ci avevano indicato.
Adesso i miei eutrofici figli mi richiamano all’ordine… hanno FAME! Mangiano da soli, ma ancora non cucinano da soli… che dire… tutti il loro babbo!!!
Giovedì mattina ci siamo alzati e con il primo sguardo, io e Laura, ci siamo intesi subito : sarebbe stata una dura giornata, l’ultima senza Samuél, a causa dell’impegno pomeridiano che ci era stato programmato dall’ufficio adozioni.
Abbiamo passato la mattina insieme a nostro figlio, come nei giorni precedenti, e nel pomeriggio siamo andati a fare degli acquisti speciali :
Tutto questo ben di Dio era necessario per fare una festa … in orfanotrofio.
Quando me lo dissero, già martedì mattina, io rimasi così scioccato da dimenticarmi di comunicarlo subito a Laura. Glielo dissi mercoledì sera e il suo sguardo attonito mi confermò quello che era stato il mio primo pensiero – “Ma stiamo scherzando? Ma vogliamo davvero andare a sbattere in faccia ai bimbi che restano lì, il fatto che Samuèl ha trovato una famiglia?” – mi risuonavano in testa le nenie crudeli dell’infanzia – “Beeene, io ho un babbo e una mamma … e te noooo!”.
Ma non era una cosa che potevamo scegliere. Ci si formava un nodo in gola al pensiero di entrare in quelle stanze a sbandierare una gioia che sentivamo diventare una cosa di cui vergognarsi di fronte a loro.
Non voglio essere esoso, vi voglio solo raccontare i nostri sentimenti e come essi, più tardi, si sono rivelati sostanzialmente sbagliati.
Sono molte le differenza tra questo hogar e quello dove siamo stati a conoscere Maria. La prima differenza sta nel fatto che questo è privato, gestito da un’associazione internazionale di volontari, mentre quello di Maria era statale. Questa differenza fa sì che la raccolta dei fondi sia difficoltosa e totalmente in mano agli operatori, mentre quello statale era ovviamente totalmente finanziato.
Per lo stesso motivo la gestione interna segue protocolli completamente diversi : nel caso di Maria, noi passammo quattro giorni all’interno della struttura, tornando a casa solo per dormire, mentre nel caso di Samuèl, già dal primo giorno siamo usciti con lui portandolo dove volevamo. Sempre sotto un certo controllo delle autorità, è chiaro, ma liberi di portarlo anche a casa nostra, a patto che la sera lo riportassimo all’hogar .
In questo hogar, quando un bambino trova una famiglia, si fa festa. Poco importa che a noi ci si materializzi in mente l’immagine delle cerimonie di consegna che avvengono in Vietnam, tra madri biologiche e madri adottive (non ci credete? leggete qui un link a caso).
Loro festeggiano, festeggiano la speranza che c’è sempre e per tutti. Festeggiano la tenacia e la voglia di essere felici. Festeggiano l’essere vivi e in quanto tali, capaci e desiderosi di essere allegri.
E allora se il motivo è questo, se deve essere una festa di speranza più che una festa di addio, che festa sia!
Di certo c’è una cosa : anche stavolta abbiamo toccato con mano la bontà del cuore umano, la disponibilità al servizio gratuito da parte di giovani di tutto il mondo.
Una bontà d’animo non riconducibile a nessun credo o religione particolari, ma semplicemente presente nell’uomo in quanto creatura capace di amare.
I volontari e gli operatori, giovani e meno giovani (peruviani, inglesi, neozelandesi) hanno reso il momento della festa non solo sopportabile, ma addirittura bello, ed è qui che ci siamo resi conto che sbagliavamo a pensar male di questo evento.
Nonostante si possa essere visto, per un attimo, un velo di tristezza sul volto degli ospiti un po’ più grandicelli, è evidente che la struttura è ben gestita e ai bambini gli si vuole davvero davvero bene.
Grazie quindi a questi angeli dell’hogar che hanno accudito anche nostro figlio nei mesi scorsi :
Per un grazie ancora più concreto e sostanziale vi invito a visitare i siti legati all’organizzazione Traveller Not Tourist e a fare loro una donazione qui (tra poco è Natale …)
Inoltre potete seguire su Facebook il gruppo Pachawawas – Children of the Earth e se magari c’è qualche giovane che ha voglia di girare il mondo facendo allo stesso tempo qualcosa di utile … beh magari si potrà trovare un giorno ad accudire un altro “Samuèl”
Infine, se volete dare qualcosa all’hogar dove è stato accudito Samuèl e dove ancora vengono accuditi tutti quei facciotti che avete visto nelle foto, potete fare una donazione sul conto peruviano della ScotiaBank intestato alla :