Arequipa, in lingua quechua ha più di un significato : mi fermo qui, al di là della vetta, città guerriera … ma oggi è meglio conosciuta come La Ciudad Blanca. Questo nome deriva dal tipo di materiale storicamente usato dai conquistadores per edificare tutte le strutture più importanti e di conseguenza, tutto l’attuale centro storico della città.
Ma aldilà di wikipedia, Arequipa, ci lascia come ricordo la sensazione di luce accompagnata dalla polvere che invade e pervade, come la luce, ogni cosa.
In questa stagione, antecedente di quasi un mese al trimestre piovoso, il cielo è raramente velato. Il più delle volte l’azzurro del cielo è così intenso da scambiarlo per un cielo nuvoloso. Non fosse per il sole tropicale che ti mette l’ombra della testa sotto i piedi.
La luce è intensissima e quando si rifrange nelle pietre bianche, pietre vulcaniche sottratte ad un sonnacchioso El Misti, diventa abbagliante.
Il vento teso, sempre, da qualunque direzione spiri, porta invece con se la polvere dei deserti che circondano la città. Che siano venti provenienti dall’oceano o da uno dei tre vulcani che la sovrastano, Arequipa si sveglia, lavora, mangia e dorme sotto una coltre di polvere.
La polvere entra ovunque, nelle cucine, nel naso, negli occhi, negli armadi. La polvere è una costante della notra vita, la tocchi, la respiri, la mastichi … questa luce polverosa, o polvere luminosa, ci è entrata dentro, nell’anima.
E’ incredibile come l’adottare un bambino di un posto lontano e così diverso dai nostri luoghi (intesi come modi di vivere), in qualche modo faccia sì che tu ti ritrovi adottato dai luoghi stessi.
Certo, dire che adesso siamo diventato arequpegni magari suona esagerato (non saremmo mai in grado di guidare come loro), eppure sentiamo che ci mancherà la polvere su ogni cosa come ci mancherà la luce insistente dalle finestre già alle cinque del mattino.
Sapere che domani potrebbe essere il nostro ultimo risveglio qui, ci ha messo un po’ di tristezza addosso. Avremmo avuto da fare altre decine di cose … ma per quante ne avessimo fatte sono sicuro che ce ne saremmo inventate altre.
Sentiamo che lasciamo in qualche modo una delle nostre case, una parte di noi si è integrata nello stesso modo in cui Samuèl è diventato parte di noi.
Comunque adesso inizia la fase di rientro del viaggio, partire è un po’ morire, ma è, soprattutto, ritornare.