Da molto tempo noto, nel nostro paese, una strana abitudine. Non so come si chiama realmente, per comodità, e perché mi piace inventarmi nomi buffi, la chiamerò cerottismo. Il cerottismo è un modus operandi molto diffuso e lo definisco ad litteram come la pratica di mettere un cerotto, una pezza, una toppa. Insomma è l’arte dell’arrangiarsi che però, andando a braccetto con un certo analfabetismo accademico di ritorno, sta diventando il modo strutturato di cercare di mettere le cose a posto.
Con un cerotto o una toppa le cose non sono a posto per definizione. Le cose restano rotte, il cerotto può aiutare la guarigione, ma va tolto dopo breve tempo, la toppa può nascondere, ma lascia il buco esattamente dove era. Inoltre non si può mettere una toppa sull’altra (il cerotto sul cerotto neanche si può pensare) perché come ogni sarta sa, la toppa è un punto debole del tessuto, è un rammendo che a sua volta non può essere rammendato.
Ma cosa succede invece, fin troppo spesso, quando invece che di sbucciature o di gilet, si parla di società e norme?
Vedo innescarsi un processo simile ad un circolo vizioso, ad una spirale verso il basso che ad ogni ostacolo svolta sempre dalla stessa parte e scade in qualità e livello. Trattare leggi che disciplinano la società, a mio avviso, dovrebbe essere un mestiere fatto da persone che guardano in alto, che aspirano alla società ideale, che si ispirano a qualcosa.
Ispirare.
Treccani ci dice che questo termine deriva da inspirare o da espirare, così, da studioso delle arti futili, ci vedo due aspetti diametralmente opposti del significato di respiro. Nel primo caso c’è vitalità, ogni frase che contenga la parola “inspirare” mi fa pensare alle energie da prendere per un tuffo impegnativo o alla vita che nasce da una mamma che deve spingere; mentre il secondo caso mi sa di naso all’ingiù, di corpi esanimi e teste ciondolanti come quella di Cristo in croce.
Bene stabilito, da me, che l’ispirazione è migliore e preferibile se fatta con il naso che punta al cielo, ritorno all’argomento iniziale. Se anche ci dotiamo di leggi fatte bene, articolate e funzionali, ma non le applichiamo per intero, si scoprirà, a causa della parte inapplicata della legge, un nervo sensibile che prima o poi si farà sentire. E’ come avere un dente cariato. E’ lì, prende posto, ti fa avere un bel sorriso (per cui la faccia è salva), ma non puoi masticare niente. Prima o poi avrai fame.
Così accade con la legge 194, la tanto chiacchierata legge sull’aborto, che per inciso si chiama “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, non legge sull’aborto. L’aborto viene comunque definito reato all’interno di questa legge. Viene normato in funzione di alcune condizioni per cui la legge prevede che si faccia tutto il possibile, socialmente, psicologicamente ed economicamente per evitare che la donna sia costretta a perseguire fino in fondo la strada dell’interruzione di gravidanza.
L’esperienza comune è invece che l’accesso a questa pratica sia sempre più semplice, ovvio, scontato. Che il reato di aborto, normato, sia sempre più accessbile. Smart si direbbe oggi. L’aborto smart. E’ come la guerra di difesa preventiva, i missili intelligenti, l’onestà politica e prostituzione libera. Sono kotiomkiane cagate pazzesche. Sono novelle della non-lingua che acquietano la coscienza. Non ci credete? Andate a leggere l’articolo 2 della legge che ho linkato e poi fate una ricerca su internet su cosa viene consigliato dal “sistema” alle donne incinte che non sanno cosa fare. (automaticamente viene intesa una domanda implicita: non so come fare ad abortire)
L’accesso in massa ai reparti di ostetricia e ginecologia, mitigato in parte dagli aborti fai-da-te, ma che comunque vede coinvolte quasi mezzo milione di donne ogni anno, ha scoperto un nervo: quello del limite di sopportazione da parte del corpo medico. L’elevato (deo gratias) numero di medici obiettori, crea un collo di bottiglia che, pur non impedendo lo svolgimento del pubblico servizio, crea comunque disagio a chi si trova, come ginecologo, ad eseguire decine di aborti a settimana.
A fronte di un sempre più rilevante fenomeno delle obiezioni, si sta sollevando il fronte anti-obiettori, per cui si vuole mettere un cerotto. Cioè si desidera estromettere dalle sedi pubbliche i medici che si dichiarano obiettori, introducendo per legge un’ingiustizia che addirittura potrebbe far risuonare, per il colpo subito, l’articolo 4, ma financo l’articolo 1 della Costituzione.
Cerotti, cerotti, cerotti. La 194 è già una legge cerotto, messa a punto per iniziare il processo di diffusione del libertinaggio sessuale e la progressiva, ma fondamentale, scissione tra pratiche sessuali e procreazione. Come abbiamo inizialmente detto cerotto su cerotto, non funziona.
In conclusione, produciamo leggi con un costosissimo apparato legislativo, ne ignoriamo l’applicazione con un mastodontico e farraginoso istituto esecutivo e infine facciamo chiudere un occhio al braccio giudiziario, che più che un forte bicipite che ci tutela, sembra una flaccida appendice che ci da delle pacche sulle spalle, consigliandoci di fare meglio che si può con quello che abbiamo … tanto, ormai …
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