Sul Manifesto del 9 gennaio è stata fatta un’attenta analisi dei risvolti e delle conseguenze che l’approvazione del ddl Cirinnà si porterebbe appresso. Sembrano essere riusciti finalmente a riassumere, sia pure con gergo da legulei, quello che da più di un anno La Croce ripete senza sosta: la legge sulle unioni civili è la porta di accesso dell’utero in affitto.
Pur apprezzando l’onesta di chi ha redatto l’articolo, va evidenziato che ha inserito nell’elenco delle varie modalità di filiazione anche l’adozione, che purtroppo non è da confondersi con le cure mediche a supporto della fertilità o con le tecniche di inseminazione artificiale, poiché tutta la normativa, nazionale e internazionale, la definisce in modo completamente diverso.
L’ istituto dell’adozione, in Italia, è normato dalla legge 184/83 riformata nel 1998, quando è stata ratificata la convenzione dell’Aja per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale. Vi riporto, per avere un colpo d’occhio immediato, i titoli e i principi ispiratori di questi due bellissimi testi e vi prego di fare particolare attenzione alle parti sottolineate.
L. 4 maggio 1983, n. 184.
Diritto del minore ad una famiglia.TITOLO I
Princìpi generali1. Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’àmbito della propria famiglia.
2. Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto.
3. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’àmbito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l’abbandono e di consentire al minore di essere educato nell’àmbito della propria famiglia. […]
4. […]
5. Il diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell’àmbito di una famiglia è assicurato senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e comunque non in contrasto con i princìpi fondamentali dell’ordinamento.L’Aja il 29 maggio 1993.
Convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale.Gli Stati firmatari della presente Convenzione,
Riconoscendo che, per lo sviluppo armonioso della sua personalità, il minore deve crescere in un ambiente familiare, in un clima di felicità, d’amore e di comprensione,
Ricordando che ogni Stato dovrebbe adottare, con criterio di priorità, misure appropriate per consentire la permanenza del minore nella famiglia d’origine,
Riconoscendo che l’adozione internazionale può offrire l’opportunità di dare una famiglia permanente a quei minori per i quali non può essere trovata una famiglia idonea nel loro Stato di origine,
Convinti della necessità di prevedere misure atte a garantire che le adozioni internazionali si facciano nell’interesse superiore del minore e nel rispetto dei suoi diritti fondamentali, e che siano evitate la sottrazione, la vendita e la tratta dei minori,
Desiderando stabilire, a questo scopo, disposizioni comuni che tengano conto dei principi riconosciuti dagli strumenti internazionali, in particolare dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Minore del 20 novembre 1989, e dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Principi Sociali e Giuridici applicabili alla Protezione ed all’Assistenza ai Minori, con particolare riferimento alle prassi in materia di adozione e di affidamento familiare, sul piano nazionale e su quello internazionale (Risoluzione dell’Assemblea Generale 41/85 del 3 dicembre 1986),Hanno convenuto le seguenti disposizioni: […]
Sembra tutto così chiaro, tutto così limpido, vero? Innanzitutto entrambe le leggi non parlano di alcun diritto degli adulti, ma di diritto e protezione dei minori. Questo significa che, in qualunque modo si possa fraintendere l’adozione, ci saranno sempre questi due titoli a sottolineare che gli adulti sono solo uno strumento tramite il quale si ricostituisce una condizione che un bambino ha integralmente perduto.
L’innegabile conseguenza che l’uomo e la donna che adottano diventino genitori è decisamente secondario e comunque anch’esso va a tutela del minore, perché se fosse solo inserito in un contesto di accoglienza, essa non darebbe sufficienti garanzie di continuità e stabilità.
La motivazione per cui qualunque tipo di comunità, composta da un numero variabile e promiscuo, di donne e di uomini, che non sia la società naturale con progetto fecondo composta da un uomo e da una donna, non ha alcun titolo di arrogarsi il diritto all’adozione è duplice.
Il primo motivo, il più lampante, limpido e immediato è che non esiste alcun diritto all’adozione. Le leggi parlano chiaro, l’idoneità (non il diritto) all’adozione viene rilasciata per decreto del tribunale dei minori, ad una coppia sposata, che abbia superato tutti gli esami previsti dalla legge.
Il secondo è che l’adozione ha come scopo quello di procurare al minore una famiglia idonea a sostituire (quindi potenzialmente equivalente) la famiglia di origine. Siccome ogni bambino ha origine dall’unione di uomo e di una donna, è evidente che la famiglia equipollente non può che avere la stessa configurazione.
Questo dovrebbe essere sufficiente a scongiurare l’ipotesi che un domani si possano presentare a chiedere l’idoneità all’adozione coppie di persone dello stesso sesso o anche singoli individui, senza contare ovviamente i gruppi di più di due persone.
Mi preme però anche evidenziare come nei principi che hanno mosso i legislatori e coloro che hanno stilato la convenzione dell’Aja, non si faccia menzione al fatto che i bambini hanno bisogno di agio economico o di essere ricolmati di beni materiali, anzi, la legge italiana dice che l’indigenza non deve essere motivo di impedimento acciocché il minore viva nella sua famiglia di origine, e obbliga lo stato a garantire questo diritto intervenendo adeguatamente, forse anche con un costo economico non indifferente.
Fatto sta che non è quello il motivo per cui i bambini devono essere tolti ai loro genitori, né tanto meno il motivo che una coppia adottiva, tendenzialmente, è benestante, deve essere il motivo per cui riceve l’idoneità all’adozione! E’ sbagliata la concezione che il benessere di un bambino sia legato alla soddisfazione dei desideri materiali attraverso il benessere economico e le attenzioni mirate che in un orfanotrofio ovviamente vengono meno.
Quando siamo tornati in Italia con i nostri figli, una delle cose che le persone ci dicevano era: «Chissà come staranno bene ora!». Riferendosi al fatto che li avremmo ricoperti di regali, vestiti, protezione, eccetera. In realtà Maria Pilar veniva da un orfanotrofio statale di Lima, con guardie giurate armate alla porta (io non metto mai neppure l’allarme in casa), aveva vestiti puliti ad ogni cambio di pannolino (noi i vestiti si cambiano se si sporcano, cioè se si sporcano molto), giocava in un parco giochi attrezzatissimo, tipo asilo nido (chi di voi genitori ha un asilo nido in casa?)
La vera discriminante per cui esiste un concetto così complesso e rigidamente regolamentato come l’adozione quale è? E’ che i bambini abbandonati sognano di avere quello che i bambini non abbandonati hanno. E non sono le cose materiali, che possono benissimo avere, ma delle quali i bambini fanno benissimo a meno.
E non è neanche la pura felicità o il divertimento! Samuel si divertiva sicuramente di più ad Arequipa che qui! Lo abbiamo tolto da una classe di 10 treenni liberi di fare e disfare quello che volevano notte e giorno e lo abbiamo portato in una enorme casa silenziosa, con una sorella più grande alla quale prendere le misure ed una più piccola arrivata subito dopo. Con un sacco di cose che non si possono più fare, con un sacco di nuove regole, nuove abitudini, freddo d’inverno eccetera.
E quindi? Cosa sogna, quando è in grado di farlo, cioè quando ormai è già grande, un bambino in orfanotrofio?
Sogna un padre e una madre. Punto.
E quando arriva a capire che gli servono quei punti di riferimento, che gli sono mancati i sostegni che avrebbero naturalmente fatto comodo, che non ha avuto le stesse possibilità di tutti quelli che nascono e crescono con chi li ha generati, a volte è già tardi.
Le adozioni di bambini grandi, di quelli che hanno subito il trauma dell’abbandono in modo cosciente o che pur non avendolo vissuto hanno compreso di essere abbandonati ed hanno interiorizzato il loro dolore, sviluppano alcuni tratti caratteristici (i genitori adottivi mi perdonino la semplificazione esemplificativa)
A volte capita di diventare genitori di bambini che diventano oltremodo devoti a chi li ha adottati. Bambini che si pongono in una condizione quasi di prostrazione e continua riconoscenza perché si sentono nel pericolo di essere di nuovo abbandonati, qualunque sia l’atteggiamento della famiglia. Altre volte ti ritrovi con dei figli pestiferi che ti mettono alla prova costantemente, per trovare il punto di rottura, oltrepassarlo e poter puntare il dito dicendo «Visto! E’ colpa vostra! Di voi adulti! Che non reggete! Che non sapete fare i genitori! Non sono stato abbandonato per colpa mia!». Altre volte ti trovi con alternanze e combinazioni diverse di questi due aspetti, ma tutti, tutti, TUTTI i bambini abbandonati, ad un certo punto, si danno per sé la colpa del loro abbandono: o non erano abbastanza bravi o abbastanza belli o abbastanza grandi, o non erano maschi o non erano femmine fino anche a non aver saputo impedire la morte della madre o del padre, in qualunque modo essa sia avvenuta.
Ecco a cosa serve l’adozione fatta secondo le regole e le leggi che seguono la naturalità ed il buon senso: serve a ripristinare uno stato che permetta, a chi ha subito l’abbandono, di buttare giù quel castello in aria fatto di sensi di colpa e ricostruirlo, solido e sereno, toccando con mano che, a parità di condizioni iniziali, loro sono bambini come tutti gli altri. Anzi, più forti.
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