Dal 21 novembre al 13 dicembre si svolgerà a Lucca la rassegna fotografica Photolux Festival, giunta alla sua seconda edizione, patrocinata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo. Tra gli altri autori, saranno esposte fotografie di Andres Serrano e Bettina Rheims, più precisamente in un percorso a tema “Sacro e profano”.
La mostra sta scatenando feroci polemiche prima ancora di aprire, perché saranno esposte opere ritenute (non a torto) blasfeme per la religione cristiana, tipo un crocifisso immerso in un barattolo di urina dell’autore o una croce intinta nel sangue. Parallelamente, troveranno un posto anche delicatissime foto riguardanti l’Islam, che ritraggono fedeli intenti a pregare in posti desueti, costretti a ciò dalla brutta e cattiva società che non procura loro un adeguato luogo di culto.
Al di là dell’intento denigratorio verso la religione cristiana e del dibattito in merito a come vengono spesi soldi pubblici, mi sono fatta prendere dalla curiosità e sono andata a visionare alcune opere di Serrano, per farmi un’idea di costui e della sua arte.
Egli ha ritratto particolari di cadaveri, visi rugosi, persone anziane vestite e truccate in modo osceno, genitali in bella mostra, corpi volgarmente nudi fissati in pose senza dignità, ferite aperte e sanguinanti, suore che si palpeggiano, eccetera eccetera. Direi che il crocifisso che galleggia in un liquido giallino, tra qualche bollicina e un riflesso di luce, tra tutte, è la meno violenta.
Su internet, di Serrano si legge: i suoi temi preferiti sono il sesso, la morte, le feci, il Ku Kux Klan, le armi da fuoco, i reietti d’America e molto altro. Caratterizzato da un stile quasi classico, fortemente influenzato dai colori forti e dalle nature morte della pittura del ‘500 e ‘600, Serrano impressiona gli occhi e la mente con la sua visione semplice e sconvolgente della realtà e dei meccanismi che la regolano. Non adatta ai paladini del politicamente corretto.
Molte foto di Serrano utilizzano liquidi corporei, come sangue, sperma, urina, latte materno. E la serie The Interpretation of Dreams, nella quale il controverso artista si addentra nel mondo
dell’inconscio, rappresentando galleria di sogni, incubi, fantasie, è obbiettivamente davvero inquietante.
E’ indubbia la forte capacità evocativa dell’artista, come anche il suo intento di parlare dell’uomo e della sua umanità immanente e materiale. Esiste anche un filone di foto “sacre”, rappresentazioni di Cristo donna, Madonne sensuali e martiri sanguinanti. Ma di sacro in queste foto non c’è davvero nulla, a parte l’intento di scimmiottare temi religiosi.
Il sentimento che suscitano le opere di questo fotografo sono principalmente sgomento, disgusto, disagio, pena, orrore. Egli punta a fare emergere il peggio dell’uomo, si aggancia al suo substrato emozionale senza alcun rispetto, né per lo spettatore, né tantomeno per il soggetto ritratto, che è trattato alla stregua di un torturato: dileggiato, deriso, vilipeso.
Se è vero che il soggetto è usato come simbolo, io, comunque, non riesco a non scorgere sempre l’uomo o la donna che si sono messi in posa, che hanno accettato di prestare la loro immagine per lo scatto immondo, che si sono lasciati spogliare e atteggiare in modi così gravemente lesivi per la loro dignità. Se ci fosse il mio volto in una foto simile, ne resterei gravemente sconvolta, non accetterei mai di svendere la mia immagine per una mostra d’arte.
In quelle foto manca totalmente il senso della dignità umana: c’è solo carne e niente spirito; c’è solo povertà e nessuna ricchezza; c’è dramma e mai speranza; c’è derisione e non compassione.
Soffermarsi ad osservare, vincendo la repulsione iniziale, significa accantonare il proprio innato pudore difensivo e lasciarsi assuefare ad una visione dell’umanità che non prevede nulla di divino, che estrae dal corpo (tempio di Dio) ogni stilla di anima, per lasciarne solo un penoso mucchietto di ossa e di carne.
Questo è l’uomo, senza Dio. Questo siamo noi. In tal senso, l’arte di Serrano è educativa, perché ci riporta con brutalità alla realtà che spesso cerchiamo di scansare con la mano, nell’illusione dell’autodeterminazione e nel mito della magica scienza che ci cura, ci guarisce e ci protegge.
Invece quel crocifisso immerso nell’urina, pur vilipeso, pure deriso, mantiene una dignità incommensurabile, suscita nel cuore una pena carica di affetto, la stessa che forse provavano le pie donne nel vedere Gesù trascinarsi la croce sulle spalle, nel cammino del Golgota. In quell’immagine, così volutamente offensiva, l’offesa in realtà non passa, non arriva a colpire, è come una freccia che manca il bersaglio, un insulto che non viene udito. Perché la dignità del crocifisso non sta nel modo in cui viene rappresentato, non sta nell’ambiente intorno, nell’odore di incenso o nei colori dolci di un’abside. Il crocifisso è già l’immagine più violenta e vergognosa possibile per una divinità, è già il culmine dell’offesa, è già il fondo della discesa. Cristo ha preso tutto sulle sue spalle 2000 anni fa, anche quel ridicolo barattolo di urina.
E quindi, dopo aver scorso le immagini e essere rimasta turbata dalla povertà dell’uomo, arrivata a quel crocifisso galleggiante, mi sono sentita sollevata, rinfrancata. Proprio l’umiliazione di lasciarsi mettere all’ultimo posto continua ad essere la forza dirompente di Cristo, il cuore del cristianesimo, la scintilla di un fuoco inestinguibile, che va a recuperare l’uomo là dove si trova, nella sua miseria, nella sua carnalità obbrobriosa e scandalosa, nella sua malvagità.
Per me, possono anche farla, questa ennesima mostra anticristiana: non è nella persecuzione che il cristianesimo rischia l’estinzione, ma nella diluizione e nell’annacquamento con la ricchezza e la mondanità. Sarebbe più di scandalo un Cristo imbellettato e ingioiellato che un Cristo nell’urina.
Pubblicato su La Croce il 12/11/2015
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