C’era una volta una ragno che si calò dal ramo di un albero, trovò un angolo interessante e cominciò a tessere la sua tela. Era molto bravo e lavorava instancabilmente giorno e notte; riuscì così a costruire una ragnatela estremamente bella e grande. Con quella ragnatela poteva catturare molti insetti, e anche altri ragni venivano ad ammirarla e ad imparare come costruirne un’altra altrettanto efficace. Un giorno il ragno, passeggiando per la sua straordinaria opera si accorse che c’era un filo che sciupava l’armonia del suo disegno geometrico perfetto; quel pezzettino sembrava stonare proprio con la sua creazione, si domandò come avesse potuto commettere un errore tanto grossolano e decise immediatamente di tagliare quel filo. Ma non si era reso conto che quello era il filo dal quale era sceso molto tempo prima e che da solo dava stabilità e sostegno a tutto quello che era stato costruito successivamente, così il povero ragno vide crollare tutta la struttura e lui finì per rimanere schiacciato dalla sua ragnatela.
Questa è la sintesi di un racconto scritta da Bruno Ferrero in uno dei suoi meravigliosi libretti di storie per l’anima. L’ho sentita o letta in un campo ACR di chissà quanto tempo fa e mi è tornata alla mente parlando con mio marito di quello che sta succedendo nella nostra vecchia Europa. Gli avvenimenti di questi ultimi giorni ci preoccupano e ci domandiamo cosa aspettarci dal prossimo futuro.
Me la sono ricordata per l’esattezza parlando delle nostre origini e del risultato prodotto da una “rivoluzione” culturale e sociale che vorrebbe negare le radici cristiane dell’Europa; negare chi siamo, eliminare tutto ciò che è legame con il passato per ribadire una fantomatica indipendenza e libertà da ogni retaggio anche solo lontanamente religioso, in nome di un laicismo sempre più ostentato che dovrebbe finalmente “liberare” l’uomo da ogni schiavitù (clericale) alla quale era stato assoggettato nei secoli scorsi.
Questo atteggiamento mi sembra corrispondere esattamente al taglio del filo da parte del ragno della storia sopra, tagliare le radici significa crescere generazioni vuote, che non sanno chi sono, da dove vengono, e quindi nella loro disperata ricerca di senso saranno affascinate dal primo gatto o dalla prima volpe che passando prometteranno ori e onori in virtù di uno spicciolo di sacrificio.
Quando abbiamo adottato i nostri figli chi ci ha seguito si è raccomandato in mille modi affinché noi mantenessimo un “contatto” con le origini di questi bambini, saper raccontare loro delle verità dicibili sul loro passato perché il desiderio di “conoscere” un giorno verrà fuori e vorranno sapere da dove vengono. E’ nella natura dell’uomo chiedersi da dove viene, è questo l’unico modo per arrivare a definire chi è. E questo non è lo stesso per una società, per un popolo? Come possiamo spiegare la nostra storia, la nostra cultura e la nostra arte senza parlare di fede e di religione? Come possiamo crescere i nostri figli senza parlare loro del Crocifisso e di quello che è sgorgato da quell’avvenimento storico, di quante persone hanno giocato la loro vita scommettendo sul quel legno che, da segno di scandalo è diventato il trono dal quale regna il nostro Re?
Tagliare con il passato significa togliersi la terra di sotto i piedi, ma siccome abbiamo bisogno di equilibrio e di senso nella nostra vita, se togliamo le nostre origini dovremo sostituirle con qualche palliativo: la psicanalisi, la moda, la mondanità, il disimpegno totale, il fanatismo, l’integralismo … tutte risposte al vuoto pneumatico che ci siamo creati negando chi siamo.
E’ lo stesso processo che si sta verificando per la diffusione dell’ideologia gender e di tutto quello che comporta, taglio le origini: maschio e femmina non esistono, sono solo un’invenzione di chi sa chi e i figli li porta la cicogna, quando non nascono sotto un cavolo! Ognuno può essere quello che vuole, chi vuole, e può cambiare in base alla sensazione del momento; non c’è più alcun limite a contenermi e quindi mi svuoto disperdendomi. Tagliare il filo dell’identità sessuale (maschio e femmina li creò) di una persona significa aprire una voragine di non senso dentro di essa che richiede di essere colmata, comincia così una ricerca affannosa di qualcosa che sia abbastanza grande da riempire questo baratro dell’animo umano.
Allo scopo di riempire il vuoto di identità che mi crea questa nuova antropologia diventa lecito qualunque scempio della dignità umana, per garantire l’autodeterminazione di un soggetto che non sa più dire chi sia è necessario inventarsi il proprio genere (i social come Facebook oltre a proporne svariate decine, ne permettono la personalizzazione). Va bene questa nuova moda che propone modelli dal sesso indefinibile per cui non si sa più se è una sfilata per abbigliamento maschile o femminile, vanno bene unioni (non le posso chiamare matrimoni, mi viene l’orticaria) tra persone di qualunque sesso e in qualunque numero, va bene affittare un utero per soddisfare il proprio fittizio bisogno di genitorialità.
Alla fine della conversazione tra me e mio marito non è rimasto che essere grati verso chi ci ha fatto rimanere attaccati alle nostre origini, dandoci occasione di approfondire e dare la nostra personale risposta e ci è tornato in mente il testo di un canto imparato alla GMG del 2005 a Colonia come l’unica risposta possibile a tutto questo alla fine di anno liturgico:
Tu ci hai fatti per te,
nella tua immensità,
nel tuo grande amore tu Signore
ci hai creati per te
e il nostro cuore, non trova pace se
Signor tu non sei qui con noi.Noi ti diamo gloria,
diamo gloria a te Signore
Re del cielo diamo gloria
diamo gloria a te Signore
Re di ogni cosa sei
Re di ogni cosa sei.
Che non è altro che una parafrasi di una celebre frase di S. Agostino: “Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te” (Le Confessioni, I,1,1).
[…] più che chiaro, come ha scritto Fenchurch la settimana scorsa nell’articolo “Da dove veniamo”, che la nostra cultura ha delle origini che stiamo cercando in ogni modo di far fuori come retaggi […]