Ieri sera ho assistito ad una rappresentazione teatrale sulla seconda guerra mondiale, in particolare sulla vita degli abitanti del forlivese durante i durissimi mesi del passaggio dei tedeschi in ritirata verso nord. Si è parlato di bombardamenti, di paura, di senso di smarrimento e ansia, attraverso la lettura e la recitazione delle pagine del diario di un ragazzo dell’epoca.
Tantissimi passaggi mi hanno profondamente colpita e commossa, ma uno in particolare mi ha risuonato dentro: il giovane sul suo diario scrive:
Tutti dicevano che la guerra sarebbe finita il Venerdì Santo e anche io ci speravo. Ma oggi è già lunedì e nulla è cambiato. (10 aprile 1944)
La chiesa era già crollata da un pezzo, il parroco imprigionato e riempito di frustate, ma la gente si stringeva all’unica cosa che le era rimasta: la fede nella Resurrezione. E così, immagino quel Venerdì Santo del 1944 quanto vero e profondamente sentito deve essere stato il bacio dato al crocifisso, quanto Cristo sia stato avvertito presente tra gli uomini, vivo e morente insieme a loro, tanto da far immedesimare il popolo nella passione e sperare in una pace che scendesse dal cielo insieme alla Pasqua.
Ma non successe, nonostante migliaia di cuori lo invocassero, nonostante ferventi preghiere si innalzassero senza sosta verso il cielo solcato dagli aerei, nonostante tanto dolore innocente meritasse un sollievo.
Da aprile a novembre, ancora sette lunghissimi mesi è durata la guerra, dentro le case dei forlivesi, nelle stalle dei contadini, nascosti nei rifugi dei pagliai in mezzo ai campi, a mangiare fagioli e patate. Altri sette durissimi mesi a veder sbocciare i fiori sulle piante, spuntare le foglie, maturare i frutti, raccoglierli per farseli portare via dai soldati nemici e amici, e veder tornare le piogge a inzuppare le aie, a rendere i rifugi inutilizzabili, e poi di nuovo il freddo e i camini accesi.
I tedeschi finirono di passare finalmente per la via Emilia il 13 novembre del 1944, quando il proclama Alexander decretò l’interruzione dell’offensiva su tutti i fronti. Quel giorno una bomba alleata, sganciata da un cacciabombardiere probabilmente solo per non rischiare un atterraggio con cariche esplosive, colpì la casa del giovane in mezzo alla campagna e uccise tutta la famiglia, padre, madre e quattro figli.
Sono passati 70 anni da allora e le pagine del diario di questo ragazzo, morto prematuramente e ingiustamente, hanno commosso e colpito numerose platee, di giovani attoniti e incoscienti e di vecchi consapevoli e partecipi, parlandoci dell’amore per la pace, della divinità del cuore dell’uomo, che rimane intatta anche nelle situazioni più aberranti e dolorose, della dignità della persona, che non si baratta per un piatto di fagioli.
Ho pensato alla Siria e al lunghissimo conflitto che stanno sopportando gli abitanti: anche loro, come gli italiani sopra la linea gotica, hanno il nemico in casa e le bombe sulla testa, eppure strappano alla guerra brandelli di quotidianità con tenacia e perseveranza, stretti tra loro, tra le famiglie e attorno ai capi religiosi che rimangono in mezzo al proprio popolo.
Ho pensato a Wafaa Saad, la ceramista siriana che ha studiato a Faenza e che in tanti del luogo conoscono, e che adesso vive laggiù, in Siria, sotto le bombe, con suo marito e i suoi due figli, e che sopravvive solo appesa ad una speranza, di pace, di amore e di fraternità.
E mi sono chiesta perché le parole del Vangelo “chiedete e vi sarà dato” non si realizzano mai, nemmeno quando a chiedere sono in tanti, innocenti, puri, incolpevoli vittime, e chiedono una cosa giusta e sacrosanta come la pace. Perché i tempi di Dio non sono mai i nostri tempi, i suoi progetti non sono mai i nostri progetti?
In realtà la guerra è un prodotto dell’uomo, non certo di Dio: l’uomo la scatena, l’uomo la può fermare. La preghiera che innalziamo al cielo deve ridiscendere sull’umanità sotto forma di dubbio nel cuore di chi commette queste atrocità, di chi le organizza e di chi fa finta di non vederle quando invece potrebbe intervenire. E ridiscende come balsamo a curare le ferite di chi soffre, a nutrire la speranza in un futuro luminoso, a regalare scampoli di serenità in mezzo al nulla della distruzione.
Prego dunque per te, Wafaa, e per tutto il tuo povero popolo.
SERATA A SOSTEGNO DI WAFAA SAAD, CERAMISTA SIRIANA
Mercoledì 10 giugno, ore 19
Museo Internazionale Delle Ceramiche
Viale Baccarini 19, Faenza
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