Mia figlia ha 14 anni, è un timido fiore che sboccia alla vita, e mentre la guardo diventare donna, ripenso a quando, tanti ma tanti anni fa ormai, capitò a me. Ricordo che tra ragazze ci spiavamo nei cambiamenti che vedavamo succedere nel nostri corpi, con un po’ di invidia per quelle più avanti e un po’ di compassione per quelle più indietro. Naturalmente io ero la più bambina di tutta la classe: crescevo lunga, secca, piatta, come una pertica coi capelli arruffati, senza l’ombra di rotondità ad ammorbidire il mio profilo squadrato.
A quei tempi educazione sessuale a scuola non era prevista e anche a casa l’argomento era appena sfiorato, con le femmine soprattutto. L’ora di biologia serviva giusto a conoscere i meccanicismi della riproduzione, spiegati con la stessa freddezza e genericità con cui si parlava dell’esperimento dei piselli di Mendel.
Io però non mi sentivo ignorante in materia, non mi pareva di avere bisogno di informazioni ulteriori, non avevo curiosità inespresse, nonostante per me i bambini, se proprio non li portava la cicogna, comunque nascevano dall’unione un po’ magica di una cellula microscopica con un girino altrettanto microscopico, che si incontravano non si sapeva bene dove né tanto meno il perché.
Dell’universo maschile mi affascinava l’idea di forza e sicurezza, da quello femminile cercavo di carpire soprattutto la delicatezza e la grazia. Sull’incontro dei due mondi aleggiava un pudore sacro che invitava al rispetto dell’altro e soprattutto lo pretendeva per se stessi.
Con questo non si pensi che fossi una madonnina infilzata, anzi: già a 15 anni avevo il fidanzatino con cui mi incontravo nella piazza del paese il sabato pomeriggio e poi si andava tutti insieme (amici compresi) un po’ in giro, non importava gran ché dove. Già passeggiare fianco a fianco pareva una gran cosa, una compromissione ufficiale. Le mani si stringevano solo al riparo da occhi indiscreti. Il primo lieve bacio sulle labbra tardò più di un anno.
Fa sorridere adesso raccontare di questi avvicinamenti lenti, così carichi di ingenuità e rispetto, così pieni di pudore. Però li ricordo con grandissimo affetto, con vero amore direi: era come sbocciare alla vita seguendo il ritmo sacro delle stagioni, senza condizionamenti esterni, senza inutile fretta, senza intrusioni aliene. Il nostro mondo di adolescenti si trasformava pian piano e si trasfigurava nella maturità della gioventù, e imparavamo dal tempo a trattarci con reverenziale sacralità.
Mia figlia ha 14 anni adesso e il mondo in cui vive non è lo stesso in cui sono vissuta io: la sessualità è spiattellata in faccia a tutti in tv, nei giornali, persino nei telefilm per ragazzi, con una leggerezza ed una superficialità agghiaccianti. Aggiungerei anche con grande volgarità. Si è smarrito completamente il senso di sacralità dell’altro, il valore della distanza, la magia di un’attesa. Persino a scuola introducono progetti di educazione sessuale dai contenuti talmente espliciti da rasentare la pornografia. Questo significa rubare ai nostri ragazzi il diritto a crescere nell’affettività con il ritmo giusto, rispettando i loro tempi di crescita e le loro esperienze personali. È una violenza grave alla sensibilità e all’intimità di ciascuno.
Io sono femmina e quindi parlo solo per la metà del mondo a cui mi sento di appartenere, e in questa veste dico con fermezza che la sessualità di una donna è un mistero grande, che nessun manuale sul punto g può spiegare: il segreto della sua realizzazione sta tutta nell’equilibrio tra fiducia nell’altro e desiderio di compiacere, è il frutto che matura su una pianta ben cresciuta e coltivata con pazienza. Non capisco quale soddisfazione ci possa essere, sia fisicamente, sia soprattutto affettivamente, in un rapporto sessuale precoce vissuto per curiosità o peggio per uniformarsi agli standard odierni e non fare la figura delle sfigate. La fretta è una pessima consigliera in questo campo. E quando un frutto è stato raccolto, non si riattacca più al ramo.
Infatti la perdita precoce non tanto della verginità quanto piuttosto dell’ingenuità ruba alla donna la possibilità di maturare con armonia un buon rapporto con il proprio corpo, basato sulla conoscenza e la consapevolezza, ma anche e soprattutto fondato sull’accettazione di sé, fisicamente ed emotivamente.
Io ricordo che la mia bucolica adolescenza ebbe un brusco contraccolpo quando mi capitò tra le mani un libro vietato ai minori di 14 anni. Mi bastò la lettura della descrizione di una scena di sesso per provare una rivoltante nausea e suscitare in me un profondo sgomento. Non c’era traccia di quella magia che vivevo io, non c’era nessun sogno realizzato, nessun mistero svelato. Solo volgarità e tanta tristezza.
Sicuramente avrò imparato importanti particolari, ma posso affermare con assoluta certezza che sarei stata sicuramente meglio se non li avessi saputi. E l’approssimazione delle mie conoscenze sul sesso non mi avrebbe impedito di vivere una sessualità pienamente realizzata e cosciente.
Mi domando dunque con vivo stupore come si può pensare di educare al rispetto dell’altro, nella sua diversità di genere nello specifico, mediante la comunicazione pedissequa e pedante di nozionismi pornografici, mi chiedo chi può aver ideato questa geniale trovata di distruggere senza appello la magia della scoperta personale e privata della sessualità, derubricando il pudore a sintomo di arretratezza culturale.
Il pudore è un sentimento innato nella donna (e anche nell’uomo) che nessuno inculca e questo è evidente quando siamo malati e abbiamo bisogno dell’assistenza di qualcuno per ogni cosa: quanto è difficile lasciarsi aiutare per spogliarsi e vestirsi, quanto vorremmo mantenere segreta e coperta la nostra genitalità! L’aiuto non ci umilia solo se ci viene offerto con rispetto e amore, quelle stesse cose che ci servono sempre per superare la barriera protettiva del nostro sacro pudore. Perché noi siamo sacri, anche nel corpo, e con sacralità dobbiamo trattarci e farci trattare.
Questo argomento “scotta”. Sembra fatto apposta per mettere in luce quelle mamme che, come me, hanno voglia di raccontare la loro adolescenza ormai lontana. “Io alla sua età…..” “Mi ricordo che io…..”.
Penso che parlare di educazione sessuale ai nostri figli e figlie sia importante e anche bello. Ma dobbiamo farlo noi, babbi e mamme, perché quando lo facciamo mettiamo nelle nostre parole le emozioni e i sentimenti, che in un’aula scolastica probabilmente mancherebbero.
bell’articolo! sono concorde che ogni cosa ha il suo tempo e che, precorrere i tempi e bruciare le tappe, sia molto spesso dannoso. Oggi non si parla più di Amore, ma di Sesso soltanto, nudo e crudo. Tutto viene sintetizzato all’atto fisico, come si dovessero imparare degli esercizi in palestra, tralasciando tutto quello che c’è dietro; non conta solo il risultato finale, ma si dovrebbe porre di più l’attenzione alla “preparazione atletica” per arrivarci. Si dovrebbe allenare cuore, mente, e ogni parte di noi a recepire tutto quello che di bello viene da questo e invece avviene tutto l’opposto. Oggi non sei “figo/a” se non hai mai fatto questo o quell’altro, perchè lo fanno tutti… Sembra di essere su un set dove un tizio fa un gesto e il “gregge” copia senza saperne il motivo… E’ giusto dare un’educazione sessuale ai figli, con i giusti tempi e modi e aiutarli nel percorso da seguire se ne hanno bisogno, ma bisognerebbe darla completa. Ogni stimolo o sensazione genera in noi ricordi che andranno a formare il nostro “io”.
E quante ragazzine di 14 o 15 devono ritrovarsi incinta per aprirti (aprirvi) gli occhi ? Allora si che il danno sarà irreparabile e avranno perso l’ingenuità
Chiamare “danno” una gravidanza già qualifica il livello della discussione, sarebbe davvero fiato sprecato provare a parlarle della bellezza del dono della verginità e della castità prematrimoniale. Questo noi insegniamo ai nostri figli, consapevoli che il mondo dove vanno è contaminato dalla vostra iniquità e pronti ad accogliere con serenità l’eventuale gioia del diventare madre, anche se troppo presto.
Grazie per il dono della chiarezza, queste tue parole rievocano in me il fastidio di giovane adolescente a sentir parlare con poco rispetto per i miei gusti di cose tanto delicate e personali, persino quando la mia mamma cercava di approcciare l’argomento dal lato femminile (come il ciclo mestruale… questo evento così bello eppure così traumatico, quando il corpo afferma una crescita che l’animo ancora non ha elaborato nè tantomeno compreso… ed è stato così per me a 15 anni suonati, non oso immaginare come possano sentirsi delle bimbe di 10 anni – perché oggi succede anche così presto ormai)… Un rifiuto dettato dal pudore, che è stato abbastanza rispettato dalla mia famiglia, un po’ meno dalla società, ma che come affermi tu non ha impedito di intraprendere la mia personale scoperta, con curiosità lenta e paziente, bella e inesorabile. “Ogni cosa a suo tempo” oggi sembra agli occhi di alcuni peggio di una parolaccia perché si oppone all’imperante “tutto e subito” che – nessuno sembra rendersene veramente conto – uccide il desiderio, quello vero che si nutre di attesa e curiosità non ancora soddisfatta.
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