Qualche giorno fa, le sbilenche dichiarazioni di Aurelio Mancuso rilasciate a IntelligoNews hanno creato una frattura netta nel mondo LGBT. Sentire il presidente di Equality fare dichiarazioni che stigmatizzano l’utero in affitto (ma solo quando questo è fatto nei paesi dove comporta lo sfruttamento della donna) ha scatenato le ire della presidente delle Famiglie Arcobaleno, che in un delirante articolo ha offeso Mancuso e spiattellato, schiumante di rabbia, un retroscena veterofemminista di emancipazione dal maschio piuttosto anacronistico, in un contesto di lotta al sessismo e agli stereotipi di genere.
Lo scricchiolare scomposto delle dichiarazioni di Mancuso accusa diversi difetti, il primo, quello evidenziato da La Delfa, è il tradimento della “bandiera arcobaleno”. Mancuso ammette che ci possa essere una mediazione sui diritti per gli LGBT e questo è inaccettabile per le lobby che rappresenta. Viene furiosamente tacciato di essere un bigotto, di stare a difesa di un partito tradizionalista e oscurantista e di aver lisciato il pelo al suo partito macchiandosi del reato di aver chiesto un passo indietro alle coppie di “padri” gay.
Solo ai maschi, perché, e qui c’è ancora un altro difetto nel ragionamento di Mancuso, all’interno della legge sulle unioni civili, ci sarebbe, pur non trattato, il riferimento all’utero in affitto. Pratica che non esita a definire «crimine contro l’umanità» mostrando di aver capito, almeno in parte, la battaglia che le associazioni pro-life fanno a questa legge.
Però caro Mancuso, non è che l’utero in affitto aggiunga qualcosa alla già drammatica pratica del prodursi figli, in barba al loro diritto naturale di nascere, e di essere accolti, da una madre ed un padre.
L’assenza del riferimento maschile e femminile, proprio della famiglia con capacità e potenziale generativo e di filiazione, è motivo sia per le coppie di uomini che per le coppie di donne, di esclusione dal diritto all’adozione. Il principio è che il diritto del bambino sia quello da tutelare, anche a discapito di un profondo e sentito desiderio di genitorialità di ognuno degli adulti coinvolti. Per questo non ha alcun senso, anzi, è una vergognosa ingiustizia, pensare di fare distinzione tra coppie omosessuali di donne e di uomini. Forse nel pensiero di Mancuso risuona ancora il grido «L’utero è mio e lo gestisco io» che certe femministe lanciavano nel ’68. Devo ammettere che posso solo intuire cosa significhi per lui avere alle costole una interlocutrice come La Delfa che ad ogni respiro ti bacchetta, accusandoti di portare acqua al mulino degli omofobi.
Un altro punto gravemente discutibile delle dichiarazioni di Aurelio è quello dove opera un distinguo puramente ideologico tra “utero in affitto” e “gestazione per altri etica”. Ammesso e non concesso che una donna possa avere intenzione di fare dei doni, che doni QUALCOSA, non QUALCUNO. I bambini hanno una identità, sono persone, davvero non abbiamo più il fiato di dire che cedere un figlio, qualunque sia il motivo o il compenso, è schiavismo. E’ arrogarsi il diritto di disporre della vita di una persona.
Purtroppo del fuoco amico si soffre, a volte, anche noi. E’ infatti fuoco amico, quello che i genitori, e i ragazzi, di una parrocchia di Scandicci (FI) hanno rischiato di subire ad opera di un parroco che ha dato spazio in chiesa (si, proprio dove la domenica celebra la Messa) all’associazione In.Stabil.Mente.
La sociologa Giulia Selmi è infatti stata ospite della parrocchia di Sant’Alessandro a Giogoli ed ha proposto una conferenza seguita da dibattito su “la questione di genere a scuola”. Il volantino prometteva chiarezza sulle tematiche calde del momento: rispetto di genere, bullismo omofobico, abbattimento degli stereotipi. Il tutto presentando progetti come “il gioco del rispetto” e “il progetto Alice” vittime di un sistema isterico e pauroso.
Nel volantino si presentano anche i libretti dell’UNAR come vittime della paura ingiustificata dei Vescovi italiani, che li reputavano pericolosi per “la persona e la famiglia”.
Praticamente una mano tesa alle associazioni che promuovono l’ideologia gender, tanto invisa al Papa e al popolo. In realtà si tratterebbe della seconda mano tesa, perché in questa parrocchia il popolo era già stato allertato ed ha riempito la sala di persone attente e informate.
Persone che si sono organizzate e preparate a smontare pezzo per pezzo le bislacche teorie ottocentesche secondo le quali, a detta della relatrice, il maschio non piange, la donna fa solo le lavatrici, i figli crescono in contesti pericolosamente stereotipati e omofobici.
Per questo esistono i loro corsi e i loro progetti: per liberare le famiglie dalla paura delle differenze.
È in realtà questo l’allarmismo vero che viene diffuso. Viene instillata una sensazione di disagio che non trova reale riscontro nella realtà di tutti i giorni. Un disagio al quale si da subito una risposta, presentando i progetti sul rispetto alle differenze, che però si portano insito dentro il seme dell’educazione alla sessualità, distorta dalla mancanza di riferimenti.
Che la dichiarazione di neutralità, rispetto ai metodi di insegnamento dell’educazione affettiva e sessuale, fosse una bugia strumentale, si evince dal fatto che la stessa relatrice si è dichiarata più volte cisgender, dimostrando di aver acquisito gli schemi mentali propri dell’ideologia gender.
Con queste premesse come possiamo credere in una visione imparziale? E considerando che l’associazione in questione è quella che dalla scuola riceve gli incarichi, probabilmente remunerati, come possiamo non vedere l’immenso spot che può fare un parroco in una parrocchia?
È stato triste soprattutto sentire lo stesso parroco cercare di pilotare le domande. Notando la folla (panche piene) non propriamente allineata, ha infatti invitato ad essere attinenti al tema trattato, come se quello non fosse alla base di tutti i deliri che la mente umana riesce a produrre, dall’aborto all’utero in affitto.
Bello però è stato vedere come le persone, le famiglie, i genitori responsabili, hanno reagito al vedere calpestato il loro diritto ad essere i primi educatori dei loro figli. la neonata Generazione Famiglia – La Manif Pour Tous Italia, si era preoccupata di inviare un gruppo di rappresentati dei suoi circoli di zona, ma con grande soddisfazione Chiara Comini, Olivia Biagioni, Daniele Mugnaini e Davide Antonietti non hanno trovato un ambiente ostile o ignaro, bensì una platea compatta che ha subito cavalcato l’onda delle loro domande mirate e puntuali.
Le reazioni, dalle più elaborate alle più semplici hanno toccato le corde giuste e i nervi scoperti, hanno evidenziato le contraddizioni di chi nega l’esistenza delle teorie gender, spiegando però che è necessario «Educare a trasgredire le norme dell’ordine di genere e a superare il confine simbolico che separa dicotomicamente i modelli sociali del maschile e femminile»
Come direbbero a Scandicci, una fantastica supercazzola, ma che ormai non frega più nessuno.
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