Gli atei sono più buoni(sti)

E’ stata pubblicata una ricerca su Current Biology condotta su 1170 bambini tra i 5 e i 12 anni di sei paesi (Canada, Cina, Giordania, Turchia, Stati Uniti e Sud Africa) i cui risultati, dicono i ricercatori, contraddicono la diffusa convinzione che la religiosità sia correlata a una maggiore inclinazione per comportamenti morali e che i bambini con una robusta formazione religiosa siano più sensibili alle difficoltà degli altri, e  mettano in atto più spesso comportamenti prosociali evitando quelli antisociali.
I bambini dovevano eseguire dei compiti per valutarne la sensibilità morale e la generosità; in una prova, per esempio, veniva chiesto di decidere quanti adesivi erano disposti a condividere con una persona anonima dalla stessa scuola e di un gruppo etnico simile al loro. Ai genitori sono stati invece sottoposti dei questionari per valutare il loro grado di religiosità e il livello di empatia e di senso della giustizia che attribuivano ai loro figli.

Benché i genitori religiosi fossero molto più propensi degli altri a descrivere i loro figli come empatici e attenti alla giustizia, i risultati dei test sui bambini hanno indicato l’opposto.

L’analisi dei dati ha infatti mostrato che quanto più loro, e il loro ambiente, erano religiosi, tanto minore era il loro altruismo: i bambini che si erano dimostrati più generosi provenivano da famiglie atee o sostanzialmente non religiose.

Inoltre, di fronte a un atto che danneggiava qualcun altro (per esempio, una spinta), i bambini di famiglie religiose tendevano a giudicarlo come frutto di cattiveria e meritevole di una punizione severa molto più dei bambini provenienti da famiglie non religiose.

Gli autori, analizzando i risultati, giungono quindi alle seguenti conclusioni:

  • la religiosità è direttamente correlata a una maggiore intolleranza e ad atteggiamenti più punitivi nei confronti dei reati interpersonali
  • se uno fa qualcosa di buono, come praticare una religione, poi si preoccupa meno delle conseguenze di altri comportamenti che non sono morali (la cosiddetta “licenza morale”)
  • la secolarizzazione della società e della morale può quindi servire ad aumentare e non a diminuire la bontà umana.

Supponendo che la ricerca sia stata effettuata con scrupolo e onestà e che i risultati siano attendibili, resto comunque gravemente perplessa dalle conclusioni. Infatti il termine “morale” è stato utilizzato in un modo che non riesco a comprendere, con un’ambiguità manifesta.

Dal dizionario, morale significa:

  • Che riguarda la vita pratica considerata nel suo atto fondamentale di scelta tra bene e male, giusto e ingiusto
  • Che rispetta i principi di giustizia, onestà e pudore
  • Che non è puramente economico, quantificabile e rientra nella sfera dell’interiore, del simbolico, dello spirituale
  • Il complesso delle norme accettate da una società che sono alla base del comportamento

Dunque mi sembra che essere tolleranti verso i reati interpersonali non sia un atteggiamento morale, perché viola i principi fondanti del vivere in comune nella società, nonché la distinzione, in questo caso nettissima ed istintiva, tra bene e male. Quindi riscontrare nei bambini religiosi una maggiore intransigenza, o meglio, una più lucida capacità di discernimento del torto e della ragione mi sembra un aspetto estremamente positivo, profondamente morale nel senso più proprio del termine.

Per quanto riguarda il concetto di “licenza morale”, esso mi appare la distorsione in salsa modernista del bigottismo ateo: infatti non c’è nessuno di più moralista, cioè ipercritico e dispensatore di giudizi sulla persona e non solo sui comportamenti, di chi non ha nessun principio superiore di riferimento. La moderna società è piena di nuovi profeti agnostici che sparano sentenze su persone religiose, facendo le pulci ad ogni loro comportamento o parola e togliendo valore ad ogni oggettiva azione positiva da questi compiuta in nome di un pregiudizio moralista: visto che hanno fatto quell’errore, tutto il resto che hanno detto o compiuto non vale.

E’ senz’altro vero che le persone genuinamente religiose non sono così: la consapevolezza che esiste il male, anche e soprattutto dentro loro stesse, le fa perseguire il bene strenuamente, anche e nonostante le cadute, che ci sono e di cui non si scandalizzano, né per se stessi, né nei confronti degli altri. L’utopia del perfettismo morale non è un principio religioso, ma assolutamente ateo e illuminista, roussoniano direi: il mito dell’uomo che sa essere buono perché vuole esserlo.

E la secolarizzazione della società non sta aumentando la bontà dell’uomo, ma il suo buonismo, che è ben altra cosa: stiamo diventando sempre più lassisti, verso noi stessi e verso gli altri, tollerando comportamenti sempre meno morali, cioè sempre più lesivi del bene comune della società, ammantando questo atteggiamento di resa di fronte al male con sentimentalismi da quattro soldi.

Giudicare i comportamenti, dicendo male al male e bene al bene, e pretendere che chi agisce si assuma anche le responsabilità delle proprie azioni, è l’atteggiamento più morale che si possa immaginare, mentre è profondamente immorale e pernicioso girarsi dall’altra parte di fronte ad ogni cosa, non esprimere giudizi e, contemporaneamente, bollare le persone con pregiudizi: perché, non potendo più esprimere valutazioni sulle azioni, non resta che sentenziare sulle persone stesse.

Tra l’altro dal punto di vista umano, è davvero una grande baggianata quella per cui ci vuole più bene chi è altruista con noi, chi ci lascia fare ciò che vogliamo, chi non ci critica troppo quando sbagliamo, chi ci condona ogni punizione. Questa è una grossa falsità dal punto di vista educativo per quanto riguarda i bambini e lo è anche per gli adulti. Il nostro bene non coincide sempre con la realizzazione dei nostri desideri, è un valore ontologico che ci supera, ci trascende e a volte entra in aperto contrasto con il nostro immediato sentire. Proprio come istintivamente ci ribelliamo ad un’iniezione, anche se contiene magari la medicina che ci può guarire, così spesso il nostro bene vero, duraturo e profondo è raggiungibile solo attraverso la durezza sgradevole di un limite, di un divieto, di una punizione anche.

Mia figlia, che è oltremodo comprensiva verso tutti e introspettiva, ha sbuffato proprio oggi contro un compagno che cercava di copiare da lei durante una verifica, perché aveva notato il suo atteggiamento lassista e poco attento allo studio, per cui cercare di posticipare la sua presa di coscienza del fatto che senza studiare non si impara, è in realtà fare il suo male. Gli ha detto chiaro e tondo che rubare un sei in una verifica non gli farà imparare la materia oltre che è giusto meritarsi quello che si ottiene. E’ stata una moralista cattolica? E’ stata un’egoista? Non credo. Era più facile spostare il braccio e lasciarlo copiare piuttosto che beccarsi un mezzo insulto e la nomea di antipatica. E’ stata solo realista, ha detto le cose come stavano. E non va molto di moda farlo, soprattutto perché nessuno ha più il coraggio di sopportare le conseguenze che questa verità porta con sé.

L’operazione che si sta cercando di compiere è di una disonestà intellettuale senza precedenti: non solo sei una spia se additi l’errore che vedi commettere, ma addirittura sei tu che sbagli, addirittura sei cattivo, malvagio, immorale perché non urtare la sensibilità altrui è diventato il bene supremo, l’unico valore da perseguire, l’unica legge. Chi coltiva un sentimento religioso, crede in una Verità in senso assoluto e non si lascia governare del proprio sentire, né può considerare il sentire altrui come limite invalicabile e ingiudicabile.

Ancora una volta assistiamo all’ennesima operazione di denigrazione dello spirito religioso delle persone, al tentativo, che si perpetua da millenni, di negare l’oggettiva necessità umana di esprimere la propria religiosità innata come strumento di realizzazione di se stessi e, soprattutto, come unica via percorribile per costruire una società umana in cui la convivenza sia davvero rispettosa del bene comune. Il bene e il male non sono la stessa cosa e non sono nemmeno soggettivi. Morale è colui che sa riconoscere l’uno dall’altro, morale è una società che persegue il bene e punisce il male.

Trillian Written by:

Trillian è una giovane donna e una brillante astrofisica che Arthur Dent non riesce ad "abbordare" ad un party in un appartamento ad Islington. Arthur era sufficientemente certo che si trattasse di una giovane donna, ma all'epoca era totalmente ignaro delle sue nozioni accademiche. Trillian da l'impressione di essere timida e titubante e le fa piacere che chi le sta intorno lo creda, ma in fondo ha un profondo desiderio di fare qualcosa che salvi la galassia.

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