Grazie Permesso Scusa

Anche chi sulle prime le aveva snobbate deve ricredersi: davvero la liturgia quotidiana di “grazie  permesso scusa” comunica serenità.

E’ passato diverso tempo (ottobre 2013) da quando Papa Francesco ha pronunciato queste tre parole mettendole in relazione con la famiglia, anzi leggendo bene il testo del discorso il Santo Padre dice che sono il fondamento per rafforzarla, la famiglia.

Quando le ho sentite per la prima volta mi ricordo perfettamente di essere stata in macchina, con mio marito, ed abbiamo commentato questa notizia, passata alla radio, con un po’ di sufficienza, pur ritenendoci in accordo con questa analisi; certo che in famiglia si devono usare queste parole, è ovvio, scontato, forse da un Papa che parla alla famiglia ci aspettavamo qualche parolone più incomprensibile e da meditare per gironi (così da avere la scusa per non farlo). Invece ecco una catechesi così disarmante per la sua semplicità che ognuno può meditare nel suo cuore e mettere in pratica almeno 1000 volte al girono per rafforzare la propria famiglia.

Queste parole sono state riprese più volte da Sua Santità, approfondendo ed ampliando i concetti, facendo esempi pratici di vita vissuta in modo che nessuno potesse far finta di non aver sentito. Anche a me è capitato di riflettere sul significato profondo dell’uso di queste parole prima di tutto nei confronti del coniuge: scusa, mi dispiace di averti ferito, so che ho fatto/detto qualcosa che ti ha segnato nel profondo della tua sensibilità e del tuo vissuto e chiedo perdono a te e a Dio; permesso: posso fare questo? Riconosco di non essere sola, ma di aver bisogno della tua approvazione e della condivisione con te anche nelle scelte più piccole e quotidiane di ciò che fa parte della mia vita e di quella della nostra famiglia; grazie: apprezzo quello che fai per me, per i nostri figli, per te stesso, per il mondo, riconosco il tuo impegno e ne sono orgogliosa.

Ecco, anche senza tutte queste riflessioni, i figli che vivono in un clima di utilizzo di queste parole crescono sicuramente più sereni, pacati, non hanno pretese assurde, ed imparano ad usarle a loro volta anche in altri contesti. Mi scappa sempre da ridere quando le persone si stupiscono quando mio figlio più piccolo chiede il permesso per fare una cosa o la figlia più grande ringrazia per aver ricevuto la merenda.

Queste riflessioni mi sono tornate in mente una mattina qualunque sulla spiaggia mentre giocavo con i miei figli insieme ad altri bambini. Avevo già notato un bambino (6 anni) con la faccia molto dura, con lo sguardo di chi si vuole atteggiare ad adulto, forse anche inconsapevolmente, e sapevo anche l’origine di questo comportamento: da diversi mesi stava vivendo la separazione dei propri genitori e queste erano le prime vacanze da solo con il padre, dopo sarebbero seguite le vacanze da solo con la madre.

Stando insieme durante la mattinata ovviamente si sono verificate delle situazioni in cui quelle paroline magiche di cui il Papa ci ha ricordato l’esistenza sarebbero state benissimo, i miei figli talvolta le hanno usate, altre volte no, l’amico non le ha usate mai, e quando ho provato a fargli notare che le cose si chiedono per favore, se succede un guaio si chiede scusa, se ti danno qualcosa si risponde grazie (naturalmente in tempi diversi) lui mi ha guardato attonito, e quasi con gesto di sfida mi ha detto che quelle parole lui non le dice. Non riusciva ad essere soddisfatto neanche di quei giochi divertenti che stavamo facendo, che anche lui aveva proposto, e il massimo dello stupore l’ho provato quando lui ha fatto un’esclamazione di gioia dichiarando che si stava divertendo tantissimo a fare quell’escursione sulla spiaggia, allora ho suggerito di ringraziare babbo una volta tornati all’ombrellone che ci aveva accompagnati in quel bel posto; risposta: tanto con la mamma andrò in una piscina grandissima con tantissimi scivoli! Neanche in un momento di gioia sincera è riuscito ad intuire che quello che stava vivendo era un dono.

Cosa significa tutto questo? Lungi da me giudicare un bimbo di 6 anni, ovvio che non è una responsabilità sua, ma il pensiero è corso immediatamente ai genitori, che hanno fatto? Forse singolarmente si sono prodigati tantissimo nell’educazione di questo bimbo e del fratellino, anzi sono sicurissima (conosco i genitori) che ognuno ha fatto la sua parte, ma come singolo. Ed ecco che mi si accende la lampadina, lo hanno mai fatto insieme? Come una unità? Come una sola carne? Forse no. E’ lì il tarlo di tutto, queste parole le usi se sei in relazione con qualcuno, e qualcuno che ti sta profondamente a cuore (soltanto dopo viene l’automatismo di usarle con tutti) e qui casca l’asino. La separazione di questi genitori è l’ultimo atto di una vita di coppia passata in solitudine, nel senso che non c’è stato un progetto fondato sui due che sono diventati una cosa sola ma solo due adulti che condividono abitazione e prole mantenendosi ben separati su tutti gli altri aspetti della loro vita. E allora tutti i bellissimi sforzi fatti personalmente da ogni genitore per educare al meglio la prole si vanificano, o quantomeno ne resta pochissimo; questo bambino non sa chiedere scusa perché non è stato educato all’attenzione di cui hanno bisogno e diritto le persone che ti circondano, non sa chiedere permesso perché considera tutto come a lui dovuto, non sa dire grazie perché ogni cosa che riceve è in realtà presa. E’ mancato a questo figlio di vedere i propri genitori rapportarsi tra di loro con questa terminologia che magari i genitori stessi pretenderebbero che lui usasse con loro.

Ora, non voglio certo fare la predica a nessuno, vengo adesso a desso da una serata/nottata in cui io e mio marito ci siamo sputati reciprocamente un “buonanotte” in faccia, figuriamoci se voglio dire che è sempre semplice ed automatico parlarsi con il tono dello scusa/permesso/grazie, ma un conto sono gli episodi, un conto è l’andamento quotidiano del dialogo familiare. I miei figli sentono i genitori chiedersi opinioni, chiedersi perdono e permesso e spesso capita che se ci sentono alzare la voce per qualche discussione subito si preoccupano di vederci fare la pace, ci accompagnano l’uno dall’altro per finire la litigata. L’hanno imparato da noi, sanno che è quello che pretendiamo che facciano quando litigano tra di loro e quindi a loro volta lo ritengono giusto per noi in situazioni che giudicano simili.

Tutta questa dinamica purtroppo in una famiglia divisa viene a mancare, manca quell’alterità che ti permette/obbliga alla relazione e quindi viene a mancare un tassello fondamentale nell’educazione dei figli. Un genitore solo per disgrazia avrà tutta la voglia e l’intenzione di mantenere l’altro presente e troverà stratagemmi (non sempre facili) per trasmettere questa relazione ai figli; un genitore solo per scelta, e spesso per una scelta violenta, non avrà la minima intenzione di rendere presente l’altro, anzi considerando quel tempo con i figli “suo e suo soltanto” tenderà ad eliminare qualunque riferimento al fatto che ci sia un’altra figura genitoriale anche se non presente fisicamente. Risultato: non ho nessuno a cui rendere conto. Che nel linguaggio del bambino, che già si crede onnipotente, si traduce in tutte le forme di capriccio più aberranti.

Il fondamento della famiglia, il tipo di dialogo che rafforza la famiglia, è fatto di alterità anche nell’uso di queste parole, babbo e mamma hanno la propria intrinseca modalità di usare, proferire, sussurrare, anche storpiare volendo questi tre vocaboli, ed il bambino nella sua fase di crescita ha bisogno di vedere babbo e mamma che si ringraziano, si chiedono permesso e scusa con serenità e sorridendo, solo così non sembreranno parolacce!

Fenchurch Written by:

Fenchurch è una ragazza terrestre, l'unica a serbare il ricordo della distruzione della Terra ad opera dei Vogon dopo la riapparizione del pianeta, e per questo è ritenuta una squilibrata, anche dal fratello Russel. Ha una storia d'amore con Arthur.

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