Il divorzio breve

Molte polemiche ha suscitato la decisione del Papa di snellire nei costi e nei tempi le pratiche per l’accertamento di nullità del matrimonio cristiano per coloro che ne fanno richiesta alla sacra rota: c’è chi si dichiara scandalizzato per la presunta apertura del Vaticano al divorzio, chi esulta per lo stesso motivo, chi puntualizza che nulla è cambiato nella sostanza della materia. Come al solito, politici e giornalisti in malafede hanno voluto interpretare questo atto pastorale con la solita mistificazione e strumentalizzazione.

Non voglio entrare nella diatriba teologica, di cui non mi ritengo sufficientemente esperta, e anche mi astengo dal sottolineare la disonestà intellettuale di certuni, seppur così palese, ma faccio solo alcune considerazioni, a cuore aperto. La Chiesa perdona ogni peccato, omicidi, aborti, furti, bestemmie, fornicazioni, violenze e chi più ne ha più ne metta.  Naturalmente serve come condizione sine qua non il pentimento, che non è una barzelletta o una frasetta rapida da dire al prete in confessionale, bensì è una conversione frutto di doloroso discernimento. Poi serve il proposito a non peccare più e per questo motivo chi è divorziato e risposato non è assolvibile.  Capisco il busillis teologico, ma nei fatti il risultato è che il divorzio rimane l’unico peccato non assolvibile, il divorziato resta l’unico a rimanere escluso dalla mensa dei cristiani.

Eppure c’è chi il divorzio l’ha subito e si è rifatto una vita o semplicemente chi ha sbagliato, ma ora si trova vincolato ad una nuova famiglia. Non è che uno si pente delle leggerezze compiute nel precedente matrimonio, e allora abbandona il nuovo coniuge e relativi figli così, in quattro e quattr’otto. Il proprio pentimento, quando coinvolge la vita di altre persone, il loro bene e la loro felicità, non è più una scelta personale, non è più percorribile in solitaria, dopo un ritiro dai frati.

Io non so se è vero, come si dice, che l’82% dei matrimoni sarebbe teoricamente annullabile per mancanza dei presupposti di consapevolezza e fede necessari, non mi pare questo il punto: continuo a pensare che anche quel 18% di persone che hanno compiuto la loro scelta pienamente in grazia di Dio poi possano inciampare e cadere, perché nessuno è perfetto, perché siamo uomini e donne immerse nelle tentazioni e nelle difficoltà del mondo, perché la teoria e la pratica sono sempre difficili da conciliare. Quindi della questione di lana caprina per cui il matrimonio non viene annullato dalla sacra rota, ma si dichiara che è sempre stato nullo, a me, interessa poco assai.

La domanda che mi pongo è un’altra: perché il matrimonio è così importante, vincolante, decisivo da non poter essere sciolto? Perché, con tutti gli esempi possibili che esistono di eccezioni, di casi umani, di conversioni post divorzio, comunque la Chiesa non trova una scappatoia teologica per l’assoluzione? Perché questa rigidità, questa durezza nei fatti, per quanto portata avanti con sguardo misericordioso e ricco di sincera pietà?

La vita è una cosa dannatamente seria, e non solo perché ce ne abbiamo una sola, ma anche perché spesso la sprechiamo a vivacchiare, a fare un decimo delle cose che sapremmo fare davvero, ad amare la metà di quello che vorremmo. Restiamo sulla superficie dei nostri sentimenti, lasciando rotolare le nostre giornate senza troppa consapevolezza, affidandoci spesso a schemi precostituiti per reagire agli stimoli che incontriamo, imitando il mondo intorno a noi.

Eppure c’è una cosa dell’esistenza che non dovremmo mai perdere di vista: il fatto che non si torna indietro. E’ una via che si percorre a senso unico, il passato resta solo come bagaglio di ricordi, ma per il resto svanisce rapido alle nostre spalle, cancellando i perché e i per come delle nostre scelte. Possiamo guardare solo avanti, nella macchina non c’è la retromarcia e non abbiamo il navigatore per sapere cosa c’è davanti a noi, quanta strada resta da fare.

Spesso ci comportiamo “per prova”, agiamo con la leggerezza di chi crede intimamente di poter decidere tutto di sé, di poter fare dietro front quando vorrà, o con la stupidità di chi pensa che le proprie azioni non avranno conseguenze. Dai, prova! E’ l’invito che viene dal mondo. Prova la sbornia, prova la sigaretta, prova lo spinello, prova a fare l’amore, prova la scappatella extraconiugale, tanto, che vuoi che sia?

E invece le esperienze entrano e non escono più, feriscono, lacerano, a volte strappano anche il tessuto intorno a noi, coinvolgendo altri. E la toppa non si mette.
Gesù perdona, guarisce, risana, ma non fa tornare indietro il tempo. L’adultera salvata dalla lapidazione, sarà tornata a casa serena, non avrà peccato più, ma che fine avrà fatto il suo matrimonio? Sarà stata sbattuta o no fuori di casa? Di che avrà vissuto? Gesù non ha sistemato il patatrac fatto, non le ha rimesso insieme i cocci della vita, per quello si è dovuta arrangiare, e come abbia fatto non lo sappiamo.

Così la Chiesa assolve i nostri brutti e sporchi peccati, ma ci rimanda a casa a mani vuote: da lì in poi, siamo comunque noi, le nostre risorse e i danni fatti dalle nostre azioni, a determinare il futuro, a partire da un passato che non cambierà più.
Chi ha abortito, non abbraccerà il figlio ucciso, chi ha tradito, non ritroverà l’ingenuità dell’abbraccio coniugale originario, così come chi si è drogato, resterà psicologicamente fragile, chi ha fumato sarà soggetto a tumori e malattie respiratorie, chi si è ubriacato avrà con il fegato danneggiato.
Piccoli e grandi segni, ossa rotte, fragilità irrisolvibili, rapporti spezzati.
Matrimoni distrutti.

Eppure Gesù ci dice che la sua croce è leggera. Ma come? Perché?

Perché anche se siamo così mal ridotti, Egli ci dice che possiamo ancora essere utili, possiamo ancora partecipare, ancora avere uno scopo, un ruolo nel mondo, nell’amore.
Forse non il ruolo che avremmo immaginato, o che avremmo in effetti davvero potuto avere se solo avessimo capito prima, se solo avessimo obbedito prima, ma pur sempre un posticino nell’infinito e nell’eterno. Forse, solo quando riusciamo ad abbandonare le nostre aspettative e le nostre illusioni, possiamo metterci a disposizione della grazia e diventare qualcosa di buono.

Il sacrificio richiesto ai risposati per accedere all’eucarestia non è umanamente comprensibile, non è certo accettabile nella logica di questo mondo, consumista di sesso e di emotività isterica, ma è di fatto lo stesso sacrificio posto davanti al cammino dei fidanzati o dei single o dei coniugi che non possono o non vogliono avere altri figli. Quello che cambia drammaticamente la prospettiva è la visibilità del proprio futuro: come si può chiedere questo per tutta la vita? Eppure i sacrifici si fanno oggi, la santità si guadagna nel quotidiano, non nel domani. E tutto questo è comprensibile solo nella profondità del rapporto personale tra l’uomo e Dio, nella propria storia particolare, nel proprio vissuto, nel proprio dolore.

Chi gongola in cuor suo per il “divorzio breve”, come titolano oggi i giornali, sta ancora cercando una scappatoia, cerca la piazzola per fare l’inversione a U e riprendere la strada perduta. Ma è un’illusione, che continua a fare più danni del peccato stesso. Molto meglio avere l’umiltà di sentirsi quello che si è, in torto, e chiedere e attendere la forza per cambiare, per intraprendere quella strada di conversione vera, seria, personale e particolare che tanto spaventa, perché non sappiamo in dettaglio cosa ci costerà, ma nemmeno immaginiamo cosa ci donerà.

La Chiesa non accetta di abbassare l’asticella per venire incontro alle nostre debolezze: non possiamo accontentarci di niente di meno della Verità. E Cristo ci ha detto che il matrimonio è indissolubile, eterno, benedetto da Dio, non separabile dall’uomo. In questa unione è nascosto un segreto che vorrei capire meglio, un germe di eternità, una scintilla di divino. Nel dolore lancinante di chi ha visto fallire il proprio matrimonio, io rintraccio quella sete di assoluto che sola sazia il cuore dell’uomo e traggo forza ed entusiasmo per curare la mia relazione, per avere fiducia nel mio cammino e per amarlo.

Trillian Written by:

Trillian è una giovane donna e una brillante astrofisica che Arthur Dent non riesce ad "abbordare" ad un party in un appartamento ad Islington. Arthur era sufficientemente certo che si trattasse di una giovane donna, ma all'epoca era totalmente ignaro delle sue nozioni accademiche. Trillian da l'impressione di essere timida e titubante e le fa piacere che chi le sta intorno lo creda, ma in fondo ha un profondo desiderio di fare qualcosa che salvi la galassia.

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