Non ho idea se c’è una correlazione o meno, ma pochi giorno dopo aver appeso alla terrazza di casa mia lo striscione della Manif Pour Tous che recitava «Tutti nasciamo da una mamma e un papà», la giunta comunale del mio paese, con la delibera 195 del 20/10/2015 ha aderito alla rete RE.A.DY la REte delle pubbliche amministrazioni Anti Discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere.
Non voglio credere che questa adesione arrivi come una sorta di reazione alla mia dichiarazione di appartenenza ad una associazione erroneamente indicata come omofoba, ma certo c’è da domandarsi per quale strano motivo, un paesello di provincia da poco più di dieci mila abitanti, si sia dotato di una carta di intenti che lo impegna a tutta una serie di iniziative finalizzate a:
- individuare, mettere a confronto e diffondere politiche di inclusione sociale per le persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender realizzate dalle Pubbliche amministrazioni a livello locale;
- contribuire alla diffusione di buone prassi su tutto il territorio nazionale mettendo in rete le Pubbliche Amministrazioni impegnate nella promozione dei diritti delle persone lgbt;
- supportare le Pubbliche Amministrazioni nella realizzazione di attività rivolte alla promozione e al riconoscimento dei diritti delle persone lgbt.
Certo sarebbe bello essere considerato così seguito e attenzionato, il dubbio però è che purtroppo questa sia la solita manovra demagogica e ideologica, volta a sancire una egemonia da parte delle associazioni politicamente allineate alla giunta, per tutta una serie di iniziative sociali e culturali, tra cui non ultimi i progetti formativi ed educativi del giovani e dei ragazzi.
Aderire alla rete RE.A.DY infatti non vuole solo dire manifestare una adesione virtuale alla più che condivisibile idea di rendere sempre più uguali tutti i cittadini di fronte alla legge, cosa che per altro è svolta egregiamente dall’articolo 3 della costituzione e dalle leggi da esso scaturite, ma significa dover ottemperare tutta una serie di adempimenti:
- sottoscrivere la presente “Carta di intenti”;
- avviare, ove possibile, un confronto con le Associazioni lgbt locali;
- favorire l’emersione dei bisogni della popolazione lgbt e operare affinché questi siano presi in considerazione anche nella pianificazione strategica degli Enti;
- sviluppare azioni positive sul territorio (vedi “Ipotesi di intervento” sotto indicate);
- comunicare alla Rete le esperienze realizzate;
- supportare la Rete nella circolazione delle informazioni;
- creare una pagina informativa delle attività della rete sul proprio sito seguendo una traccia comune;
- partecipare alla giornata tematica annuale anche con propri eventi di rilevanza pubblica;
- partecipare agli incontri annuali tra i partner della Rete;
- avviare, ove possibile, una collaborazione interistituzionale tra diversi livelli di governo locale.
Se per l’adesione è sufficiente la decisione a maggioranza della giunta e nulla più, risulta evidente che portare a termine gli impegni presi non sarà assolutamente a costo zero, perché verrà impiegato del personale, verrà impiegato del tempo, verranno tolte risorse ad altre attività, se non addirittura incaricate associazioni esterne di fornire il servizio di cui sopra. In soldoni, l’amministrazione di questa cosa, all’amministrazione, costa.
Inoltre con questa adesione si stabilisce di dare un canale preferenziale all’associazionismo lgbt perché in quello che è stato firmato è previsto di intervenire con:
- azioni volte a promuovere l’identità, la dignità e i diritti delle persone lgbt e a riconoscere le loro scelte individuali e affettive, nei diversi ambiti della vita familiare, sociale, culturale, lavorativa e della salute;
- azioni conoscitive sul territorio per individuare i bisogni della popolazione lgbt e orientare le politiche, attingendo anche dalle esperienze degli attori locali;
- iniziative culturali finalizzate a favorire l’incontro e il confronto fra le differenze;
- azioni di informazione e sensibilizzazione pubblica rivolta a tutta la popolazione;
- azioni informative e formative rivolte al personale dipendente degli Enti partecipanti;
- azioni informative e formative rivolte al personale impegnato in campo educativo, scolastico, socio-assistenziale e sanitario;
- azioni informative e formative rivolte al mondo produttivo sui temi del diritto al lavoro delle persone omosessuali e transessuali;
- azioni di informazione e di prevenzione sanitaria;
- azioni di contrasto alle discriminazioni multiple;
- collaborazioni con le associazioni per valorizzarne le attività, sviluppare percorsi formativi e iniziative comuni, secondo modelli di amministrazione condivisa e di cittadinanza attiva.
Come si vede sono azioni, cioè attività, cioè iniziative che dovrebbero magari prevedere gare, bandi, confronti che invece, viste le competenze richieste e i temi specifici trattati, potranno essere appannaggio solo di una certa branca di associazionismo culturale, diciamo, vicino ai colori del comune. Che strano.
Il paese dove vivo non è diverso da quello dove sono cresciuto che non è diverso da quello dove sono nato, sono tre paesi di una dimensione troppo piccola per essere considerate delle città, ma troppo grandi per essere relegati al ruolo rurale di periferie contadine. C’è abbastanza cultura per non essere considerati dei sempliciotti provinciali, e c’è ancora quella sufficiente intimità fra compaesani tale da rendere la vita della comunità piacevole e più al sicuro che nelle metropoli.
Ci conosciamo tutti, più o meno, o comunque conosciamo qualcuno che conosce qualcuno. Al massimo due gradi di separazione. Abbiamo una parrocchia sola con un arciprete che sovrintende anche alle chiesette delle frazioni, il sindaco, la giunta, i consiglieri sono tutti personaggi estremamente popolari e al massimo del paese confinante, non abbiamo la questura e la caserma dei carabinieri ospita un numero esiguo di militari, forse quattro.
Insomma è uno di quei paesi dove il bar centrale è in centro, l’edicola è nella piazza tra il comune e la chiesa, in canonica c’è sempre qualcuno ed il maresciallo spesso e volentieri lo trovi a conversare con il prete o il sindaco, e tutti insieme formano il triumvirato tipico dei paeselli italici.
Si anche noi abbiamo il nostro bel da fare con tutti i problemi sociali di livello nazionale: l’abuso di alcool tra i giovani, forme di infiltrazioni mafiose nel tessuto produttivo ed economico, i vigili urbani, le poste che vanno a singiozzo, ma mai, ripeto, mai abbiamo sentito di problemi diffusi di omofobia o intolleranza nei confronti di persone con orientamenti sessuali diversi.
Tra l’altro a conferma del fatto che la RE.A.DY alla fine non si occupa di una priorità neanche a livello nazionale, ci sono i dati OSCE, che è l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, cui aderiscono 57 Stati, tra cui l’Italia. Si occupa di sicurezza in ambiti svariati, anche nell’ambito del rispetto delle persone e dei diritti fondamentali di libertà e di vita pacifica. Quindi si preoccupa anche della tutela della sicurezza delle minoranze ingiustamente discriminate a causa, per esempio, del razzismo o della omofobia.
Ecco, questi dati, raccolti per l’Italia dal Ministero degli Interni e dall’UNAR rilevano 27 casi di denuncia (denuncia, non condanna) di violenze con motivazioni legate all’omofobia. Ora di fronte ai veri problemi della nostra comunità, per quanto pochi possano essere, siamo sicuri che la priorità sia questa?
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