Il tempo è il luogo in cui si compiono le promesse

La nostra vita ha un senso che ci sfugge, che percepiamo ma non capiamo fino in fondo, è come quella parola che non ti viene quando ti serve, che la conosci, la sai, l’hai detta mille volte, ne senti il gusto e l’odore ma non riesci a proferirla. Impalpabile. 

Negli Stati Uniti qualcuno si è divertito a stilare una classifica dei dieci desideri più importanti nella vita dell’uomo. Ebbene, tre dei cinque desideri più importanti riguardano il tempo. Al primo posto c’è il desiderio di restare per sempre giovani, al terzo il desiderio di diventare immortali, al quarto di tornare indietro nel tempo.
Sono tre desideri che ci parlano del sogno dell’uomo di tenere sotto controllo il tempo presente (rimanere sempre giovani), il futuro (nell’immortalità) e il passato (tornare indietro nel tempo), un bisogno innato, sempre vitale in tutti noi, anche nel nostro quotidiano: abbiamo gli occhi fissi sull’orologio, dalla mattina presto fino alla sera tardi, scanditi nelle azioni e persino nei pensieri da quel ticchettio regolare, che mette in scandalosa evidenza il fatto che siamo costantemente sfasati, fuori tempo, disallineati con il metronomo a cui facciamo riferimento, a volte in anticipo, più spesso in ritardo.

Johann Gottfried Herder, filosofo tedesco di fine ‘700, diceva che i due maggiori tiranni del mondo sono il caso e il tempo, ed io non posso che essere profondamente d’accordo. Non solo, mi pare proprio che siano due facce della stessa medaglia: infatti il tempo che viviamo ci sfugge via soprattutto quando lo spendiamo in attività senza uno scopo catalizzatore, al di fuori di un progetto finalizzante e significante.

Ci sono momenti della vita in cui ciascuno è invitato a fare bilanci su come ha impiegato il proprio tempo trascorso: di solito capita in occasione dei compleanni simbolici, tipo 40, 50, 60 anni. Anche a me sta capitando ed è più doloroso del previsto: mi sono sorpresa a fare strani propositi campati in aria, come qualche interventino di chirurgia per restaurare la carrozzeria, fantomatiche fughe verso lidi lontani, partenze per missioni africane o indiane, improbabili radicali svolte lavorative. Insomma, mi sono messa alla disperata ricerca di un progetto degno di tale nome, che sia dipinto a tinte forti, che si veda da lontano, un progetto invidiabile, di quelli che ti fanno dire “cavoli, quella sì che ha le idee chiare”.
Eppure ho tre figli, un marito, un lavoro non disprezzabile, una bella casa, tanti amici, una band, un coro, un blog… altra roba non ce ne sta nelle 24 ore. Cos’è che mi manca davvero? Sì forse avrei potuto continuare a studiare, avrei potuto fare carriera all’università, avrei potuto fare un figlio in più, o scrivere un libro, trasferirmi due anni all’estero, imparare le lingue, viaggiare, incontrare gente famosa, fare la cantante, vendere milioni di dischi, sposare Brad Pitt, farmi spuntare le ali e imparare a respirare sott’acqua.

Con gli “avrei potuto” non si va da nessuna parte: i finti rimpianti sono una tentazione fortissima fatta apposta per impedirci di vedere chiaro il presente e le possibilità concrete che possediamo, sono il modo migliore per tirare una riga su tutto indiscriminatamente e mandare per aria la propria vita senza un valido motivo. Scommetto che tante coppie che scoppiano sono cadute in questa trappola.
Io non ci casco: i ricordi sono come una nuvola psichica in continuo mutamento, dai confini sbiaditi e dalla forma camaleontica, si adattano alle emozioni del momento, si limano negli spigoli, si filtrano alla luce di ciò che ci serve oggi. Davvero se potessi rivivere quel momento del passato cambierei la mia scelta? Davvero ho avuto una scelta, mi sono trovata davanti ad un bivio? O piuttosto non ho comunque sempre fatto del mio meglio per discernere le situazioni? La teoria delle sliding doors a me personalmente sembra una grossa baggianata: non è il caso che guida le nostre azioni, e di tram, se ne perdi uno, poi ne passa un altro, basta sapere dove vuoi andare. Non ho mai preso una decisione d’istinto, senza prima aver riflettuto e valutato, certo con i miei mezzi, limitati e a volte errati. Ho sbagliato spesso, ma con convinzione direi. Se potessi tornare indietro nel tempo, prima di tutto non saprei in quale istante tornare e poi non saprei cosa fare di diverso.

Il famoso “senno di poi” è un altro mito da sfatare: gli anni sono passati, ma io tutta questa saggezza adulta non l’ho sentita piombarmi addosso e dentro sono ancora la stessa spaurita ragazza che ero a vent’anni. Conosco più persone, più meccanismi relazionali, più storia e geografia, più politica ed economia, ma nella sostanza ho ancora bisogno delle conferme degli altri, dell’affetto e della stima altrui, mi perdo in centro città pure a piedi e non so fare il pieno al self service.
Anche sul “cogli l’attimo” avrei delle rimostranze da fare: il tempo presente è solo un fuggevole momento, è vero, ma non è che sia poi così ricco di favolose opportunità da cogliere al volo. In una famiglia con figli di varie età la giornata è scandita da orari ferrei, nel tentativo disperato di farci entrare tutti gli impegni: la palestra, le lezioni di musica, gli amichetti, la ricerca da fare su internet, oltre al lavoro, la casa, il marito (ahimè per ultimo). Il mio tempo non mi appartiene più da tempo e non è che un giorno, colta da un moto di poetica ribellione, posso decidere di non portare i figli a scuola e andare invece a farmi una visita al museo. Nella vita reale, nelle famiglie reali, al massimo si colgono le ciliegie dall’albero in giardino.

Per quanto riguarda il futuro, invece, la pianificazione è d’obbligo, ma certo si vive sempre in bilico tra una visione da miope, che guarda solo all’immediato domani da organizzare, e una da presbite, che vede lontano nel tempo, quando i figli saranno grandi, e avranno bisogno di una loro casa, una loro famiglia, come se tutto il cammino che serve per arrivare fino a là non fosse neanche da fare. Io, che mi spavento con poco e di questo mondo ateo e secolarizzato ho un po’ paura, tengo gli occhi bassi sul tempo vicino e non mi azzardo nemmeno a ipotizzare un domani, soprattutto perché so che il domani che sogno è da costruire e avercelo chiaro in mente implicherebbe la responsabilità di darsi da fare per realizzarlo.
Così sono ferma qui, in questo attimo che dura un battito di ciglia, a metà della mia vita statistica, e non so guardare né indietro né avanti, sospesa in un limbo spazio-temporale doloroso e malinconico.

Quello che mi manca non è un perché: so che facciamo parte di un progetto ampio ed invisibile, che coinvolge l’umanità attraverso la storia e i secoli, che ci lega e ci connette insieme tra noi che viviamo adesso e anche con coloro che sono vissuti in passato e vivranno in futuro. Ma la domanda di senso che attanaglia la nostra vita rimane sempre appesa anche a quell’avverbio interrogativo: quando? Sì perché quando succedono le cose fa la differenza: possiamo attendere in eterno il realizzarsi di una promessa? Certo Abramo ha dovuto aspettare parecchio prima di vedersi nascere il figlio tanto desiderato, oltre ogni umana pazienza. Io non credo di saper attendere così tanto.

Ho il sospetto, che diventa ogni giorno di più una certezza, che il compimento di una promessa sia più nell’attesa che nella sua realizzazione: un desiderio seminato nel cuore è solo una scusa, la molla che ci fa tendere in avanti, che ci spinge a riporre la nostra speranza nel giorno nascente. Siamo come asini carichi di semi da portare a destinazione, un luogo lontanissimo che non arriva mai, e mentre incediamo sul sentiero affannati e brontoloni, lasciamo cadere semi di qua e di là, alleggerendo il nostro peso. Quando saremo arrivati e non avremo più niente nelle nostre bisacce, ci potrà sembrare di avere fallito la nostra vita. In realtà i semi lasciati lungo il cammino involontariamente non sono dispersi, ma sono il vero scopo della nostra esistenza. Come a dire che la meta non è un posto da raggiungere, ma è il cammino che facciamo e dove andiamo in realtà importa poco.

Pubblicato su La Croce del 10 aprile 2015

Trillian Written by:

Trillian è una giovane donna e una brillante astrofisica che Arthur Dent non riesce ad "abbordare" ad un party in un appartamento ad Islington. Arthur era sufficientemente certo che si trattasse di una giovane donna, ma all'epoca era totalmente ignaro delle sue nozioni accademiche. Trillian da l'impressione di essere timida e titubante e le fa piacere che chi le sta intorno lo creda, ma in fondo ha un profondo desiderio di fare qualcosa che salvi la galassia.

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