Un weekend denso di impegni, quello appena trascorso, per i difensori della famiglia e della vita. In coincidenza con la festa della mamma, dopo un sabato che ha visto la convention dei circoli Generazione Famiglia e l’avvio ufficiale della campagna elettorale del Popolo della Famiglia a Roma, si è tenuta la VI edizione italiana della Marcia per la Vita, segno dell’esistenza di un popolo che non si arrende e vuole far prevalere i diritti di chi non ha voce sulla logica dell’utilitarismo e dell’individualismo esasperato, sulla legge del più forte.
Quest’anno, il popolo della vita si è ritrovato alla bocca della verità per guidarla questa Verità, per dire che ogni aborto è un bambino morto, per ricordare a questo paese che la 194 non viene applicata quasi per niente se non per l’ultimo articolo, dove in extrema ratio si concede alla donna un salvacondotto per quello che è e resta un reato, se commesso fuori dall’ambito indicato dalla legge.
Alla partenza, poco dopo le nove del mattino di una domenica senza sole, le parole dei testimoni hanno rimbombato tra il Tevere e l’Aventino, hanno sottolineato l’orrore con cui fa i conti chi prende coscienza di quale atto orribile sia l’aborto.
Messaggi di dolore a fianco di messaggi di speranza e di amore, di atti di vero e proprio eroismo, come quello del dono totale di sé come scelta alternativa al togliere la vita al proprio bambino.
Un connubio che dice che per tutti c’è speranza di redenzione, proprio adesso, proprio qui a Roma, proprio in seno alla Chiesa, che ha indetto l’anno Giubilare della Misericordia anche con lo scopo di riabbracciare tutte le donne che sentono i dolori lancinanti di questo peccato.
Sul palco si sono avvicendati, nell’ordine: Carlo Mocellin, marito di Cristina Mocellin, che senza esitazioni ha offerto la propria vita pur di salvare quello del figlio, che teneva in grembo; Titti, convinta a non abortire grazie ad un parroco, don Francesco Cirino: le era stata diagnosticata una grave malformazione ai reni del figlio in grembo, pressioni erano state fatte su di lei affinché interrompesse la gravidanza, ma lei ha creduto nella vita ed ha riposto fiducia nella divina Provvidenza, grazie anche alla vicinanza del sacerdote: Salvatore è nato ed era sul palco della Marcia col suo carico di gioia e di entusiasmo; Francesca e Paola che hanno entrambe hanno abortito ed hanno raccontato, con toni vibrati e toccanti la disperazione, la solitudine ed il deserto vissuto, lo sconvolgimento causato dal loro stesso gesto, la percezione dell’assenza-presenza del figlio che era in loro, ma anche il percorso umano e spirituale di penitenza, di redenzione e di perdono compiuto, grazie alla presenza ed alla vicinanza di persone e di organizzazioni pro life, che hanno rappresentato per loro l’occasione di una testimonianza forte contro l’aborto, confidando così di poter salvare altre giovani da questa tragedia.
Quando il Cristo di legno, punto di riferimento dell’evento, si è messo in marcia, erano ormai decine di migliaia le persone radunate sotto di esso, nonostante l’ora scomoda per chi veniva da fuori, nonostante le previsioni di pioggia, nonostante le prime comunioni che oggi si celebravano un po’ ovunque in tutta Italia.
Il corteo si è snodato tra canti e balli per le strade di una Roma ancora preda della sonnolenza domenicale, gli slogan hanno piano piano lasciato posto ai canti e ai rosari mentre, raggiunto Castel Sant’Angelo, è apparsa la metà: il cupolone.
In breve tempo i manifestanti hanno raggiunto Piazza San Pietro per il Regina Coeli nel quale il Papa li ha ricordati con un caloroso saluto e un ringraziamento per il loro impegno a sostegno della vita nascente.
Un impegno che evidentemente non interessa alla politica per come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi. Un impegno scomodo, che pone le basi su un’etica oggi fuori moda. Anacronistica. Non era permesso esibire nessun simbolo politico, ma non era impedito l’accesso a chi avesse voluto portare un messaggio con la propria presenza, eppure pochissimi sono stati i coraggiosi che ci hanno messo la faccia: Mario Adinolfi e Gianfranco Amato (PdF), Alfredo Iorio (MSI-DN), Lavinia Mennuni e Federico Iadicicco (FdI) e Stefano De Lillo (FI). Gli unici che hanno mostrato di credere ancora nell’etica cristiana della vita.
Un etica che la “vecchia sterile Europa incapace di generare”, come l’ha definita Papa Francesco pochi giorni fa, non esita ad additare come colpevole di presunto disservizio i medici obiettori, indicandoli in un numero troppo elevato per dare garanzia che ogni aborto in Italia abbia luogo.
Se l’Europa si preoccupasse un po’ di più di come e quanto vengono attuate le altre parti della 194, se si occupasse di più del sostegno e della valorizzazione della donna che sta per divenire madre e della maternità, forse il numero di medici non obiettori di coscienza non sarebbe “congruo”, come sottolineato dalla Lorenzin, anzi potrebbe risultare perfino superfluo.
È davvero credibile che un bambino su cinque in Italia debba essere ucciso e non possa vedere la luce per problemi assolutamente irrisolvibili? Siamo sicuri che non ci sia un abuso del presunto diritto di vita o di morte sul proprio figlio?
Noi crediamo di sì, soprattutto quando vediamo che in altri paesi come la Polonia, con leggi diverse e meno permissive, il numero di aborti è di poche migliaia l’anno, e sono i casi che i radicali negli anni 70 sbandieravano come quelli dove doverosamente si doveva lasciare la scelta alla donna: stupri, violenze, malformazioni gravi eccetera. Oggi in Italia un bambino su cinque è frutto di una violenza o ha una malformazione grave? Non prendiamoci in giro.
Noi crediamo che sia l’ora di smettere di parlare di diritti e di mettere mano ai doveri.
Ai doveri di noi genitori, che non dobbiamo più delegare altri ad insegnare ai nostri figli che sesso si può fare, basta che sia sicuro. Che poi in questi corsi vengono solo freddamente raccontate le tecniche anticoncezionali e i ragazzi si ritrovano adolescenti a fare sesso, male e troppo presto, inguantati come polli nel frigo perché l’altro è pericoloso, trasmette malattie, fa rimanere o resta incinta.
Ribadiamo il dovere delle scuole, delle comunità, delle parrocchie, degli oratori, ad insegnare il valore della vita, a disegnare la nostra capacità di generarla come qualcosa di meraviglioso e di cui essere gelosi custodi.
Risvegliamo l’amor proprio dei giovani, che sappiano che sono preziosi! Che donarsi all’altro non è una cosa che si fa con la leggerezza dell’andare al cinema insieme, ma che “il mio corpo è mio e lo conservo per chi voglio io”! Tutt’altro rispetto al supermarket delle relazioni. Insegniamo il valore dell’attesa, che fa maturare e prendere coscienza della potenza che ci è stata donata nella nostra capacità di generare la vita, in modo da saperla rispettare e riconoscerne il valore fin dal primo istante, fin dal concepimento.
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