L’essere o non essere di Shakespeariana memoria potrebbe essere declinato anche in un più immediato desiderare o non desiderare. Infatti è il desiderio il vero problema che affligge l’uomo. Ciò che desideriamo ci anima, ci spinge, ci sostiene nelle nostre azioni, ma anche ci addolora profondamente, ci lacera, ci trafigge ad ogni delusione.
I taoisti sostengono che l’origine della sofferenza è il desiderio e la cura è il distacco. Il pensiero è fallace, l’Io un’illusione dannosa e il lavorio del cervello un’inutile pratica sadica.
E’ necessario prendere le distanze dalle cose del mondo intorno quel tanto che basta per permetterci di farci trascinare dalla corrente degli eventi senza che ci preoccupiamo del luogo in cui veniamo trascinati. Un po’ come andare in stazione e prendere il primo treno che passa, non importa dove va.
In effetti io sono un’eterna indecisa, soprattutto quando si parla di mete: decidere dove andare non mi assilla, al massimo mi interessa con chi vado.
Desiderare qualcosa non mi piace, cerco di evitarlo. Ritengo che la fatica per tentare di raggiungere lo scopo e la delusione causata dal fallimento siano molto più pesanti della gioia del raggiungimento. Anche perché quando finalmente otteniamo quello che abbiamo desiderato, se ci riusciamo, viviamo giusto una fugace soddisfazione, subito fagocitata dal tempo e relegata al massimo a piacevole ricordo. Invece la delusione per un desiderio non realizzato resta a lungo, a volte per sempre, a trafiggerci l’anima e ad amareggiarci.
Molto meglio non desiderare: ci si risparmia la fatica della lotta, il rischio del fallimento, la delusione per la sconfitta e l’amarezza per la breve durata dell’eventuale soddisfazione.
Tra l’altro io ho pochi ricordi: la mia memoria ha qualche problemino già da un po’ e quindi gli eventi passati mi sfuggono con grande rapidità. Vivo concentrata sul presente, consapevole del fatto che il futuro è un’inestricabile mistero e il passato un’inafferrabile nuvola di fumo. E nel qui ed ora la cosa più reale e tangibile che ho sono proprio i miei desideri, quindi cerco di non desiderare cose che non posso ottenere nell’arco di una giornata. In questo sono totalmente taoista.
Pianifico con serenità solo gli eventi che in realtà non ho desiderato: le aspettative infatti appesantiscono il mio cuore in un modo assai dannoso per mie prestazioni organizzative, mi riempiono di stress, tensione e paura e mi tolgono preziose energie.
Riuscire a mantenere un distacco emotivo dalle cose mi permette uno sguardo più obiettivo e mi rende immune dalle delusioni. Le poche volte in cui ho contravvenuto a questa regola me ne sono pentita amaramente: il desiderio è una forza potente, quando è l’unione della volontà e del sentimento, così potente da non accettare una sconfitta, una delusione. E’ uno struggimento doloroso, dannoso, faticoso, un peso insostenibile per chi è un po’ sensibile e fragile.
Ma che utilità ha il desiderio, se annebbia la capacità di discernere e ci toglie serenità? Nel nostro cuore manca sempre qualcosa, siamo incompleti, insoddisfatti, irrequieti. Quel sentimento che ci spinge a fare cose impossibili, trasforma il nostro sguardo in modo imprevedibile, ci riempie di struggimento e ci toglie il sonno, è il desiderio di un Amore totalizzante ed eterno, che plachi ogni nostra pena, in cui possiamo affondare la faccia come dentro un cuscino, in cui finalmente riposeremo.
Ogni volta che desideriamo con passione qualcosa di terreno, inevitabilmente sperimentiamo la delusione, anche quando otteniamo l’oggetto delle nostre brame. Non siamo fatti per il mondo di quaggiù, ma per quello di lassù e l’unica cosa che possiamo desiderare senza soffrire è proprio Dio. Egli supera lo spazio e il tempo, rispondendo in ogni qui e in ogni adesso della nostra vita, unico pane che sazia.
Come uno sposo geloso, Egli mi toglie la terra da sotto i piedi, infrange ogni mio progetto, stravolge tutti i miei piani, soprattutto quelli in cui ho riposto più fiducia. Le cose non vanno mai come desidero, perché il mio cuore non si deve attaccare a niente e a nessuno: se facessi l’ostrica sullo scoglio, fermerei il mio cammino. Invece no, io non posso, io devo andare da qualche parte, anche se non so dove, ma so che non è un posto qualunque, a caso; è la mia meta prestabilita, misteriosa e preziosa.
Difficile da accettare, ma so che è vero. E’ come girare bendati in un labirinto e seguire le indicazioni delle voci intorno, ma solo una conosce la strada giusta. Quando si sbaglia, si sbatte il naso. Allora si impara a distinguere chi seguire e chi ignorare, sicura solo di una cosa: la soluzione non è in me.
Per questo evito tutti i desideri terreni e mi distacco da ogni cosa, ma non per fuggire, bensì per starci in mezzo con lo spirito giusto, cioè capire, cogliere, afferrare le opportunità con prontezza e lasciare andare le situazioni quando la corrente porta via. Non desidererò niente di meno che la vita eterna.
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