Quello nel titolo è un vecchio adagio che voleva rincuorare chi si trovava ad affrontare l’arrivo di un figlio, magari l’ennesimo, magari inaspettato, magari nel periodo storico sbagliato, vuoi per una guerra, una carestia, una crisi economica o problemi familiari. Significa(va) che nonostante la percezione fosse quella di una riduzione delle risorse complessive, un figlio è, oltre che una benedizione, una persona che in qualche modo contribuisce all’economia della famiglia e che non considerarlo una risorsa è come azzopparsi.
Oggi non lo si sente quasi più pronunciare, primo perché i figli inaspettati, ancor prima che indesiderati, li togliamo di mezzo, secondo perché arrivare ad avere più di un figlio a famiglia è diventata una rara eccezione. Sembra che attualmente siamo a 1,39 figli per ogni famiglia e non sembra chiara la dinamica del perché si sia arrivati così in basso.
Dal posto di lavoro meno sicuro fino alla difficoltà di trovare un asilo nido, tutto ha contribuito negli ultimi anni a prendere ad accettate la voglia di fare figli nelle coppie italiane. Difficile in un paese come il nostro, con tante sfaccettature, usi, costumi e anche economie diverse (basti pensare a quanto varia il costo della vita da sud a nord) individuare quale sia la causa primaria della rinuncia, certo è che se ci fossero dei sostentamenti economici, forse, le cose prenderebbero un’altra piega.
Forse.
Lo dico titubante perché l’associazione figli/povertà non mi piace, mi puzza un po’, mi fa storcere il naso. Infatti se è vero che qualcuno non fa figli per motivazioni economiche (insindacabile decisione personale), non credo che sia automaticamente possibile dichiarare che “chi fa un figlio si impoverisce”. vuoi per il proverbio del titolo, che ammetto avere il sapore della Provvidenza manzoniana, vuoi perché, secondo me, ci facciamo convincere da un sistema un po’ troppo autoreferenziale, che se la canta e se la suona.
In una recente intervista di Gigi De Palo, presidente nazionale del Forum della Associazioni Familiari, ha parlato dei grossi problemi contro i quali impatta chi in Italia si vorrebbe azzardare a figli, plurale. Intervista largamente condivisibile che però ha sollevato numerose polemiche per la diretta associazione del terzo figlio alla prima causa di povertà in Italia.
A chi gli chiedeva ragione di questo, lo stesso De Palo rispondeva di aver ripreso l’informazione dall’ISTAT, da un vecchio titolo di qualche tempo fa, che diceva senza mezzi termini che i figli sono la prima causa di povertà delle famiglie, mentre le stesse statistiche riportate a seguire evidenziavano come invece le maggiori cause di povertà fossero allo stesso tempo (e nella stessa misura) la nascita del TERZO figlio e l’inoccupazione del capofamiglia.
Mi vien da dire che l’inoccupazione del capofamiglia da sola potrebbe essere la causa della povertà di tante famiglie anche con un figlio solo o anche senza figli. Ma perché spaventare così le coppie, le persone che invece dovrebbero trovare in questa associazione conforto e sostegno? A che scopo ridurre ad una frase manipolata e disonesta quanto imprecisa e fuorviante, tutta una serie di studi e di analisi del grave problema della povertà delle famiglie italiane?
Ho provato a chiederlo al diretto interessato sottolineando che fare un figlio rende “povero” solo chi si misura con il metro dello stesso sistema che ci vuole distruggere, iniziando col darci la percezione che la famiglia sia un disvalore, una sofferenza, una povertà.
Credo fermamente che il piano su cui stiamo poggiando i nostri ragionamenti sia completamente sbagliato perché fare un figlio non impoverisce, costringerà sicuramente a fare revisioni, fare nuovi calcoli, magari tenere l’auto vecchia e non fare le vacanze qualche volta, ma non si può pensare di dividere matematicamente tutte le risorse per una persona in più.
Attenzione non dico che TUTTI siano in grado, cambiando prospettiva e ribaltando le priorità, di risolvere i propri problemi economici, sarei solo un insensibile superficiale, ma molti di sicuro vengono “distratti” dalla società. Molti si trovano soli, distanti dai supporti che una volta erano i nonni, e molti di quelli che ce li hanno, arrivano ad avere figli quando essi sono in età avanzata e non più capaci di dare sostegno come servirebbe. A volte sono essi stessi nelle condizioni di aver bisogno di assistenza.
Quello che io dico è che non si tratta esclusivamente di un problema economico, qualcosa da liquidare (letteralmente) con un assegno, ma anche di come si considera la famiglia, di quale rispetto si abbia per la vita e per la culla di essa.
Se anche ci dessero più soldi, sarebbe solo un palliativo perché il disagio percepito, la povertà nella quale si cade sempre più spesso, è quella data dalla mancanza “spirito di famiglia”. La famiglia è un concetto complesso che non si esaurisce nella coppia uomo-donna con possibilità di avere figli, ma si estende al concetto di sostegno generazionale che oggi si è perso. Trovare il modo di recuperare quello spirito sarebbe il più grande risultato che la società potrebbe raggiungere.
Per questo considero una battaglia di pari importanza quella che punta al mantenimento di una definizione precisa di famiglia, unico fondamento per mantenere viva la società. Cercare di difendere la famiglia dall’ideologia che la vuole destrutturare è qualcosa di propedeutico a farla risaltare come soggetto da tutelare maggiormente dal punto di vista economico.
Se ce la facciamo distruggere, se domani tutto potrà essere definito famiglia, che cosa rivendicheremo noi per i nostri figli, primi, secondi o terzi che siano?
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