Ho 40 anni e tre figli. Forse sono incinta. Forse, ancora non si sa. Ma questo semplice pensiero già mi sta cambiando. Io un altro figlio non lo farei, se dovessi consapevolmente scegliere, almeno così mi sono detta fino a ieri, quando ancora non avevo il sospetto, quando la mia progettualità aveva ancora la priorità. Oggi è tutto diverso: la domanda non è più cosa progetterei io per il mio futuro, ma come il futuro intende progettarmi. I ruoli sono invertiti.
Le paure di ieri sono ancora lì: sono vecchia, ho già fatto quattro cesarei, ho una vita piena di impegni, mi vorrei godere la tranquillità di una quotidianità senza marmocchi piccoli tra i piedi, a rubarti tempo e sonno. Ieri però erano motivazioni per dire no e oggi sono solo una pallida nebbiolina che si dirada al sorgere del sole.
Ma perché un semplice sospetto crea un cambio di prospettiva così radicale? Il motivo è nascosto nel segreto della vita e nella grandiosità del potere generativo della donna: sono fatta per questo.
Non c’è molto altro da dire, molto altro da capire. Poter diventare il tempio sacro dove nasce e si sviluppa la vita è una potenzialità enorme, che conferisce alla donna una sacralità inaudita.
Oggi la maternità è snobbata, è considerata una perdita di opportunità nel mondo del lavoro e anche della realizzazione sociale ed economica. Le donne si sono abituate fin da piccole a ripetersi da sole, come una cantilena, come un rosario al contrario, che la maternità è un peso e un ostacolo, che avranno tempo più avanti per pensarci, che anche se non diventeranno mamme, fa lo stesso, anzi è pure meglio.
Rifiutando a priori la dimensione generativa del proprio corpo, decidono conseguentemente di usare della sessualità come di uno strumento di piacere, di coesione emotiva con il partner, a volte anche di ricatto verso il sesso opposto per ottenere quelle attestazioni di stima di cui hanno bisogno.
Le donne moderne sono dipendenti dalla cura di sè in modo maniacale: trucco e parrucco, manicure, cremine, fitness. Si fa di tutto per strappare un complimento, per apparire disinvolte, disinibite e accattivanti, come piacciono agli uomini. E tra di loro sono sempre in competizione, come se la vita fosse una gara su tutto. Ma un apprezzamento perché sei bella, eccitante e disponibile ti lascia una soddisfazione di brevissima durata, si esaurisce nel tempo di un secondo, lasciandoti comunque come una scatola vuota, vuota di senso.
Oggi io porto con me il sospetto lieve di una gravidanza inattesa, un pensiero che è solo un forse, che a ben guardare è proprio un niente, ma è già abbastanza per cambiarmi.
Oggi io sono ricca come una regina, bella come una modella, eccitante come un derby, disponibile sì, disponibile alla vita.
Mi sento sacra ed inviolabile, preziosa e unica, indispensabile collaboratrice del Creatore, non semplicemente l’addetta alle fotocopie dell’ufficio, ma la segretaria personale che prende gli appuntamenti per il capo.
È come se la cantilena avesse cambiato le parole e mi dicesse ora che la maternità è un’opportunità meravigliosa.
E se mi stessi facendo dei castelli in aria su un forse che non si concretizzerà? Rimarrò delusa? Cambierò i miei progetti per il futuro? Non so, vedremo. Delusa no, non lo sarei, perché quello che mi rende così orgogliosa e felice è la possibilità, la potenzialità. E quella rimane, in me come in ogni altra donna. Solo che spesso ce ne dimentichiamo e cerchiamo il nostro valore in particolari privi di importanza.
La vita rotola in avanti, ci bombarda di messaggi che, anche se non accettiamo e condividiamo apertamente, comunque ci segnano, pian piano incidono su di noi: quale donna può dirsi soddisfatta di sè in una società dove il valore delle persone si misura col denaro e l’unica cosa che conta è la soddisfazione egoistica dei propri capricci? La donna è fatta per fare altro: è programmata per donarsi, per farsi rifugio e protezione dell’indifeso, per essere culla, per prendersi cura. La maternità è solo un momento in cui tutto questo emerge in modo lampante e il nostro stesso corpo ci costringe a rendercene conto pienamente, ma ve ne sono molti altri nella nostra vita: ad esempio, ci sono professioni a stragrande maggioranza femminile, come le insegnati delle scuole primarie e secondarie o le infermiere. Dovunque sia richiesta una particolare cura alla persona, ecco che la donna dà il meglio di sè: ella sa accudire con amore e rispetto, in un modo che l’uomo può solo pallidamente imitare. Il cuore della donna sente il battito della vita anche quando è solo un flebile afflato, quando è uno stoppino fumicante: istintivamente lo protegge, lo ama. Certo che per sentirlo, ogni donna deve essere in ascolto di se stessa, in ascolto per davvero, in profondità, con una sincerità e un’onestà che oggi viene ostacolata in tutti i modi.
Il problema è che i messaggi a sostegno e difesa della vita vengono soffocati di continuo e anche quando arrivano, le donne non li capiscono più. Anche io fino a ieri l’avevo dimenticato. Viviamo in un vortice di contraddizioni, dove si cerca di affermare che la donna vale quanto l’uomo, forse di più addirittura, con iniziative assurde e surreali, tipo l’invito a declinare al femminile i nomi che indicano cariche e titoli, mentre nella sostanza ci stanno rubando il nostro valore: l’utero in affitto è la più grave violenza contro la donna che sia mai stata concepita e messa in atto dell’umanità. Perché se qualcuno mi picchiasse, colpirebbe il mio corpo, che nella sua fisicità biologica, fatta di ossa, muscoli e nervi, non è diversa da quella dell’uomo. Ma se mi rubassero il mio ventre, mi colpirebbero proprio nella mia essenza.
Personalmente come donna mi sento profondamente offesa anche dall’appropriazione indebita del genere femminile che i gay fanno nella lingua: mi dispiace tanto per chi vorrebbe convincermi che il genere è un’opinione, ma se non hai l’utero, non sei una donna e non ti accetto nel mio bagno, nel mio spogliatoio, nella mia grammatica declinata al femminile. Le coppie gay, con le loro pretese di omogenitorialità, sono i primi nemici delle donne: i figli che reclamano come un diritto, sono i nostri figli, quelli custoditi dal ventre di una donna.
Mi domando quale profonda disperazione o quale colpevole superficialità può spingere una donna a cedere la propria capacità generativa per denaro. Perdere se stesse, vendere la propria anima, smarrire il significato intrinseco della propria esistenza. Perché? Sono costernata.
Mi raggomitolo un attimo sul letto, stretta in un abbraccio in cui non mi sento sola: io sono una porta tra la Vita e il mondo. Portatemi rispetto.
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