Vorrei prendere spunto da una brutta vicenda della quale sono stato protagonista per approfondire un tema che mi sta piuttosto a cuore: qual è il limite oltre il quale quelli che sono fatti degli altri, diventano anche fatti miei? In che modo si stabilisce? Quand’è che mettere bocca su un avvenimento diventa legittimo?
Quando vedo qualcuno fare qualcosa che non va bene, a volte capita che io glielo faccia notare, anche se si tratta di uno sconosciuto. A volte ho domandato agli autisti se avevano il tagliando per usare quel parcheggio per gli handicappati; difficilmente mi trattengo dal riprendere chi mette i piedi sui seggiolini in treno; chiedo di fare silenzio al cinema e una volta ho pure domandato ad un tizio davanti a me di spegnere un tablet che mi stava accecando. Sono fatti miei? Certo che lo sono, sono fatti di tutti: i parcheggi per i disabili sono lì per un motivo, non per permetterti di “sbrigare una cosa veloce”; i sedili dei treni servono per sedersi e se li sporchi qualcuno deve pulirli e comunque dimostri di non avere rispetto per chi si siederà lì dopo … e potrei andare avanti, ma penso di essere stato esauriente.
Questa volta mi sono trovato di fronte ad una situazione più complicata, sia per l’ambiente, sia per la minore evidenza del fatto che il caso mi riguardasse in qualche modo.
Alla fine di una celebrazione, mi sono permesso di dire ad una persona vestita da Darth Vader, con tanto di casco e respiro asmatico, che vestiti in quel modo non si dovrebbe venire in chiesa.
Tra l’altro ero forse l’unico che non l’aveva visto fino alla fine della messa, poiché avevo partecipato in una posizione più defilata, ma il tipo in questione, mi hanno poi raccontato, era stato fatto ampiamente oggetto di discussione fin dal suo ingresso.
Tutto il coro, tutti i ragazzi, amici, persone che conosco, hanno speso più di una parola a riguardo, valutando ogni dettaglio del costume e domandandosi chi mai fosse. In molti convenivano che probabilmente era eccessivamente rumoroso, quel respiratore.
A me è capitata la sfortuna di non avere la capacità di trattenere gli sbuffi del “troppo pieno” e dopo una messa-mercato, durante la quale ho dovuto drizzare le orecchie per sentire l’omelia, sforzarmi per ottenere un attimo di concentrazione alla Consacrazione e chiudere gli occhi durante la Comunione per trovare quel minimo di raccoglimento, quel quid in più non l’ho retto e quando ho capito a cosa si riferivano gli sguardi ammiccanti che incrociavo, ho sbottato.
Ora chiudiamola qui con la cronaca, che non serve altro. Quello che serve è capire se ero o non ero legittimato a fare un’osservazione sull’abbigliamento di una persona in un ambiente come quello dove si celebra la Santa Messa. Alcuni si sono lanciati in considerazioni del tipo “bravo-bravo-hai-fatto-bene-hai-detto-quello-che-si-pensava-tutti”, altri si sono scandalizzati “non-si-fa-così-perché-si-allontano-le-persone”, altri ancora mi hanno additato come “giudice-che-verrà-giudicato”.
Io vorrei far presente che quando vado in chiesa, io vado in un luogo che considero protetto come casa mia. Vado nella mia comunità, che anche se non è la mia parrocchia è comunque parte della Chiesa, nella quale credo e che è formata da fratelli e pastori dei quali ho la pretesa di potermi fidare. Con che coraggio andiamo a fare la morale ai nostri figli sulle loro abitudini, se in casa nostra ci abbassiamo a permettere tutto?
Certo dobbiamo essere accoglienti proprio perché è casa nostra, ma nonostante l’accoglienza che mi sento di dare a chiunque venga in casa mia, cerco di evitare che mi corra con lo skateboard sul parquet o mi scriva sui muri, perché al mio rispetto per lui deve corrispondere il suo rispetto per me.
Ed io mi sento mancare di rispetto se uno intende venire alla messa vestito in maschera, perché non so spiegare a mia figlia come mai lei non può mettere il vestito da principessa, mentre lui viene con il mantello nero; perché non so spiegare a mio figlio come mai lui non può portare la pistola mentre quello ha perfino una spada laser. Sono un padre, sono responsabile della corretta educazione dei miei figli ed ho dei doveri nei loro confronti. Non voglio dovermi difendere anche in un luogo che dovrebbe essere di conferma.
Mi sento anche offeso di come lui tratta il mio luogo di culto e la Persona che lo abita, ignorandola, perché quello è il nostro tempio. E’ il luogo dove conserviamo la cosa più preziosa che abbiamo al mondo: il Corpo di Cristo, la nostra salvezza. Non possiamo sopportare inermi di vederne fare scempio. «Lo zelo per la tua casa mi divora»: queste parole tornarono in mente agli Apostoli di fronte alla cacciata dei mercanti da parte di Gesù. Dobbiamo essere zelanti, attenti. Quello che noi facciamo non è un rito tradizionale. E’ la riattuazione vera dell’ultima cena, dove Gesù si fa vero corpo e vero sangue nel pane e nel vino.
Inoltre mi domando quanta fatica deve fare un sacerdote, nel momento più alto della celebrazione, quando la transustanziazione si realizza, per rimanere concentrato. Dobbiamo comprendere che è un uomo chiamato ad un compito enorme. Trovarsi davanti dei pagliacci, piuttosto che stuoli di bambini strillanti, di adulti bisbiglianti o di minigonne svolazzanti quanto può metterlo in imbarazzo, se perde la concentrazione su quello che sta compiendo?
Siamo davvero sicuri che non siano fatti miei se si perde progressivamente il senso del rispetto per queste cose? Siamo davvero sicuri che non siano fatti di tutti, se insegnamo la disattenzione invece della ferma concentrazione?
E se è vero che probabilmente la soluzione migliore non è quella che ho messo in atto io, rivolgendomi direttamente all’interessato, ma cercare di coinvolgere i responsabili della comunità affinché si riprendano certe sensibilità sugli usi e i costumi e sul corretto comportamento durante la liturgia, è anche vero che siamo diventati troppo garantisti e non siamo più abituati ad essere corretti da nessuno. Eppure un compito “corretto” non significa semplicemente giusto, ma anche sottoposta al giudizio, a volte anche impietoso, dell’insegnante. Il segno con la matita rossa non era fatto per umiliare, ma per indicare la via esatta.
Oggi ricevere una correzione, diventa un affronto che deve essere lavato con il sangue, per questo si sbraita e si inveisce contro chi ci ammonisce fino a che non lo si costringe a chiedere scusa per aver “osato” muovere un appunto. Si incomincia dalla scuola, cercando di non vessare i ragazzi con note, rapporti e bocciature, si continua nella società dei diritti (e mai dei doveri) e si arriva anche in chiesa, dove con una scusa o con un’altra, oggi nessuno è più in grado di impedire l’ingresso di un Darth Vader e se suona un telefono, invece di spegnerlo, si risponde.
Concordo: sono fatti tuoi, miei, nostri, di tutti!
E chi era sto matto mascherato?
Ero presente, pertanto so di per certo di cosa si parla e concordo pienamente! Sono in accordo anche con il fatto che non dovevi essere tu a dirlo…ma in “mancanza” di chi rappresenta il padron di casa… beh trovo giustissimo che tu, gentilmente gliel’abbia fatto notare. non si è trattato a mio avviso di una entrata delle tue a gamba tesa, ma più morigerata, la reazione che ne è seguita dai seguaci di Palpatine (senza parole anche il nome di questo soggetto…) è stata sconcertante. Io non credo che le persone vengano allontanate da un luogo solo perchè per entrare si mettono dei “vincoli” di rispetto, credo che stiamo andando verso un punto di non ritorno e di inciviltà dove ciò che conta è quello che VOGLIO IO e non il VIVERE CIVILMENTE IN COMUNIONE CON GLI ALTRI. Tutto ciò che prima è passato come educazione adesso è messo alla gogna e accusato di creare sensi di disagio o turbe nel prossimo, forse e dico forse, tra il “rigidismo” di prima e il “lascismo” di ora…forse dovevamo provare la fase intermedia
Avete ragione. O ci manca il coraggio per correggere o non siamo convinti del mistero Che celebriamo