Qualche mese fa, all’Istituto Superiore Virgilio di Empoli, durante l’autogestione, è stato organizzato un incontro unilaterale ed è stato dato spazio al sindaco di Certaldo in modo da poter portare la propria visione riguardo al ddl Cirinnà sulle unioni civili, attualmente in discussione al senato.
Trattandosi di una materia molto delicata e facilmente strumentalizzabile, soprattutto da una persona dichiaratamente con tendenze omosessuali, alcuni genitori di ragazzi che frequentano l’istituto e l’associazione Generazione Famiglia – La Manif Pour Tous Empoli hanno sollevato un’obiezione ed hanno chiesto che venisse effettuato un dibattito con contraddittorio per poter dare agli studenti una più ampia visione del problema in modo da potersi fare un’idea più precisa della questione.
A tale scopo, dopo che la proposta è stata accettata di buon grado, dimostrando maturità e capacità critica e autocritica da parte degli studenti, sono stati convocati per Giovedì 11 febbraio due persone sostenitrici del disegno di legge Cirinnà: Beatrice e Andrea, attivisti LGBT nell’associazione “il diritto di essere io”. Come controparte, contrari alla legge Cirinnà sono stati invitati Maria Rachele, rappresentante romana di Generazione Famiglia, e Giorgio, persona con tendenze omosessuali che però rifiuta la logica del pensiero unico, secondo la quale si debbano pretendere dei diritti in funzione del proprio orientamento sessuale.
Il confronto pacato e civile, si è svolto di fronte ad una platea di oltre un centinaio di studenti interessati che hanno dimostrato una buon livello di maturità, sia nel resistere al lungo dibattito tra le parti, sia nel porsi in modo critico di fronte alla questione, sottoponendo alla fine delle domande che hanno ulteriormente approfondito l’argomento.
Le due parti hanno ovviamente espresso le proprie opposte posizioni, portando ognuno acqua al mulino delle proprie idee, senza trovare alcun punto concordante se non forse che entrambe sono scontente da questo ddl. I sostenitori dicono che produrrà una legge troppo ponderata e mediata al ribasso, troppo lontana dalla equiparazione al matrimonio che loro richiedono, mentre Giorgio e Rachele sostengono che questa legge è scritta in modo tale da ricalcare quasi completamente la disciplina del matrimonio, garantita dall’articolo 29 della Costituzione e per questo è inaccettabile.
Tale paradosso è stato evidenziato molto spesso in questo tipo di dibattiti, soprattutto in relazione alla parte di legge più divisiva, quella che tratta della famigerata stepchild adoption, senza la quale, se passasse la legge, si sarebbe garantito perfettamente lo scontento sia dei contrari a questa brutta legge sulle unioni civili, rappresentata dal popolo dei Family Day, sia dei veri promotori, le associazioni LGBT, che già la vedono troppo soft così com’è.
E infatti la discussione, inizialmente avviata sul tema dei diritti alle coppie non sposate, di qualunque sesso siano i componenti della coppia, si è ben presto spostata sul vero nocciolo della questione, quello che sembra essere nascosto (ma neanche tanto) nell’articolo 5, appunto quello che parla dell’adozione del figliastro da parte del genitore sociale. Questa norma, apparentemente scritta per completare il cerchio delle tutele di un minore eventualmente inserito in una coppia omosessuale, sdoganerebbe in Italia la pratica dell’utero in affitto. E questo è stato detto e sottolineato dai molti omosessuali con figli che aspettano l’approvazione della legge per regolarizzare le proprie posizioni rispetto ai bambini che vivono con loro.
Quasi tutto il dibattito è stato incentrato sulla liceità o meno, da parte delle coppie omosessuali, di vedersi riconosciuti entrambi come genitori di un bimbo, ottenuto con delle procedure tecniche di procreazione artificiale. Non c’era accordo neppure sui termini e le definizioni. Giorgio, sentendosi principalmente uomo e relegando la sua omosessualità all’essere una tendenza che non lo definisce esclusivamente, si è descritto come “persona con tendenze omosessuali”, mentre Andrea, in netta e vibrante contrapposizione, ha detto di essere “orgogliosamente omosessuale”.
Generazione Famiglia ha chiamato le tecniche di procreazione che fondamentalmente tolgono un genitore biologico per assegnarne (forse in futuro) uno sociale: autoinseminazione e utero in affitto; mentre gli attivisti LGBT hanno usato termini più delicati, che solitamente servono a sviare un po’ l’attenzione dalla reale violenza che viene compiuta sul neonato: PMA e GPA (Procreazione Medicalmente Assistita e Gestazione Per Altri).
Di certo, ad un orecchio attento, il modo di discutere dei figli da entrambe le parti ha evidenziato come Generazione Famiglia non abbia interessi personali nel portare avanti le proprie idee, che promuovono i diritti dei bambini a partire dal loro diritto naturale a conservare come genitori coloro dai quali nascono e che non dovrebbero essere ceduti per contratto, in cambio di danaro o di qualunque altra cosa.
Per contro, quando gli attivisti LGBT hanno rivendicato il loro diritto ad amare chiunque desiderassero, il diritto a vedersi riconosciuto il matrimonio anche tra persone dello stesso sesso per poi, successivamente, qualora ne avessero voglia, vedersi riconosciuto il diritto a progettarsi (parole precise loro) la prole ed ottenerla, grazie alla tecnologia che oggi c’è, è apparso chiaro che il figlio è solo il simbolo di una emancipazione rivendicata e il mezzo per ottenere uno status di famiglia che naturalmente non avrebbero.
E questo, deve essere chiaro a tutti, avverrà immancabilmente subito dopo l’approvazione, in qualunque forma, della legge Cirinnà, scritta appositamente per sovrapporsi completamente alla disciplina del matrimonio. Infatti per come è sancita, interrotta e garantita, per quali siano gli impedimenti e per quali siano i doveri derivanti dalla contrazione di una unione civile, essa è equipollente all’istituto del matrimonio. Anche la seconda carica dello stato si è visto costretto a mentire al Senato, attribuendo il riferimento di questa legge all’articolo 3 della Costituzione invece che al 29, altrimenti sarebbe stato svelato il segreto di pulcinella: questa legge è l’alibi del governo per far fare il lavoro sporco alla Corte Di Strasburgo (come è accanto in Austria) o direttamente ai tribunali.
Quello che è di sicuro stato evidente agli studenti, anche a quelli che hanno posto domande, preparate a tavolino o meno, è che non è di diritti civili che si deve discutere. Nessuno ha sollevato la questione, nessuno, neanche gli attivisti LGBT si sono scagliati sulla mancanza di diritti del singolo o di coppia convivente. Primo, perché è evidente che, seppur sparsi un po’ in tutto il codice civile, questi diritti già ci sono. Secondo, perché la vera battaglia è un’altra: quella che vuole vedere l’uomo trasformato in un oggetto da compravendita, sia per gli omosessuali che per gli eterosessuali. E qui allora c’è da domandarsi il perché e chi ne trae vantaggio.
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